Cosa è successo tra Unicredit e la Libia
Perché sempre più persone chiedono a Profumo di dimettersi, e cosa c'entra Gheddafi
di Francesco Costa
Unicredit, Alessandro Profumo, Gheddafi, “caso Libia”. La questione è intricata, è sui giornali da settimane ed è intrecciata tra l’economia, la politica estera e la cronaca locale. Coinvolge il sindaco di Verona, il leghista Flavio Tosi, e Muammar Gheddafi; il primo gruppo bancario europeo e il governo italiano. E per questo è anche diventata un argomento di polemica politica, con alcuni parlamentari – soprattutto leghisti e dipietristi, per ragioni diverse – che chiedono al ministro Frattini di dare spiegazioni e magari intervenire direttamente nella faccenda.
Di cosa parliamo, intanto
Breve premessa a uso di chi non ha idea di cosa si stia parlando. Unicredit è uno dei maggiori istituti di credito europei e mondiali. Diventa quello che è adesso a seguito di una serie di fusioni e acquisizioni, cominciate negli anni Novanta in seguito al processo di privatizzazioni che ha interessato il nostro Paese (il Credito italiano, originariamente una delle tre BIN, banche di interesse nazionale insieme alla Banca commerciale e al Banco di Roma, viene privatizzato nel 1993 dall’IRI presieduto per la seconda volta da Romano Prodi). Prima il Credito Italiano e Unicredito (a loro volta formate da altre banche e casse di risparmio locali) si uniscono in Unicredito Italiano. Il gruppo cambia marchio, assumendo la denominazione di Unicredit, e dopo una serie di ulteriori acquisizioni minori nel 2002 lancia un’offerta pubblica di acquisto sulla banca tedesca HypoVereinsbank, HVB, e tutte le sue banche controllate. Il 17 novembre 2005 Unicredit annuncia di aver completato l’acquisto: il tedesco Dieter Rampl, già amministratore delegato di HVB, diventa presidente di Unicredit. Nel 2007 Unicredit e Capitalia, guidata da Cesare Geronzi, si fondono, dando vita quindi al primo gruppo bancario europeo. Regista di tutte queste operazioni è l’amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo.
Com’è composta Unicredit
La composizione azionaria di Unicredit vede un 5 per cento delle azioni in mano a Mediobanca, un 4,99 al fondo Aabar di Abu Dhabi, un 4,8 per cento alla Fondazione CariVerona, il 4,6 per cento alla Banca centrale libica, il 3,7 per cento alla Fondazione CRT (Cassa di Risparmio di Torino), il 3,1 alla CariMonte Holding, il 2,2 alla Allianz, il 2 a Barclays. Una norma dello statuto di Unicredit stabilisce che nessun socio di Unicredit può contare in assemblea per più del 5 per cento. Il caso Libia nasce proprio in relazione alla presunta violazione di questo limite.
La scalata della Libia
Nei primi giorni di agosto, il fondo sovrano libico LIA (Lybian investment Authority) ha acquistato il 2,07 per cento del capitale di Unicredit. La quota è relativamente modesta, ma aggiunta al 4,99 per cento detenuto dalla Banca centrale libica diventa un importante 7 per cento direttamente o indirettamente facente capo alla stessa persona, cioè Gheddafi. Con il rastrellamento di questo due per cento, crescono le voci che vogliono il fondo LIA prossimo ad acquistare altre azioni e arrivare almeno al 4 per cento. In questo modo la Libia diventa il primo azionista di Unicredit e potrebbe aggirare il limite statutario, facendo valere di più – il doppio, precisamente – la propria voce nell’assemblea dei soci. Qui però cominciano le grane.
Chi doveva sapere cosa
Gli acquisti della Libia vengono fatti attraverso la stessa banca d’investimento di Unicredit, ma il consiglio di amministrazione di Unicredit non ne è informato. Il presidente di Unicredit Dieter Rampl critica pubblicamente l’amministratore delegato Alessandro Profumo e chiede di vederci più chiaro. Nemmeno la Banca d’Italia è stata informata dell’operazione. A rendere ulteriormente intricata la vicenda il fatto che il presidente della Banca centrale libica, Fahrat Bengdara, è anche vicepresidente di Unicredit e consigliere del fondo sovrano libico LIA.
Arrivano gli arabi
Quelli di Rampl non sono gli unici rilievi mossi ad Alessandro Profumo. Unicredit non può definirsi più da tempo una “banca italiana”, ma la partecipazione al suo capitale di istituti e casse di risparmio italiane fa sì che la Lega agiti lo spauracchio dell’invasione da parte di Gheddafi e dei libici (cioè dei musulmani). Il più rumoroso tra i leghisti è il sindaco di Verona Flavio Tosi, in virtù del ruolo della Fondazione CariVerona in Unicredit. Secondo alcuni osservatori pesa anche il nervosismo dei tedeschi davanti all’avanzata di Gheddafi: sia per i rapporti molto stretti tra il dittatore libico e il governo italiano, sia per via delle recenti polemiche che hanno coinvolto la politica tedesca riguardo l’immigrazione e il ruolo della comunità islamica nel tessuto sociale della Germania. Poi ci sono le critiche che arrivano dall’Italia dei Valori, che accusa Alessandro Profumo di fare affari con Gheddafi aprendogli la strada verso l’Italia – parliamo di un grande alleato dell’avversario numero uno dell’IdV, Silvio Berlusconi – ed estende l’accusa al ministro degli esteri Franco Frattini, reo di complicità negli “affari torbidi della Libia”. Profumo dice di non aver cercato lui la Libia, i cui fondi hanno deciso in piena autonomia di aumentare le loro quote.
Ehi, buongiorno
Quello sulle adeguate comunicazioni al consiglio di amministrazione di Unicredit è un punto, e ne riparliamo più avanti. Quello sulle mani di Gheddafi nell’economia italiana è un altro punto, del quale però non ci si può accorgere adesso. Non bastassero infatti gli incontri con gli imprenditori che il dittatore libico organizza tutte le volte che mette piede in Italia, non ci si può accorgere adesso del ruolo che la Libia ha assunto negli ultimi anni in colossi quali FIAT e Banca di Roma. Gli ottimisti dicono, come ha fatto Cesare Geronzi, che si tratta dei migliori investitori possibili, che non hanno mai interferito negli affari degli istituti di cui detengono quote importanti. Tarak Ben Ammar, imprenditore esperto di cose libiche e di cose italiane, dice che la scalata non è ostile, che “non si capisce perché i soldi non arabi non siano sospetti e invece quelli arabi lo siano” e che i fondi sovrani stanno facendo investimenti per i prossimi cinquant’anni, “per quando un giorno non avranno più petrolio”. I diffidenti dicono che nei casi di FIAT e Banca di Roma i fondi sovrani libici introdussero capitali nuovi e freschi, mentre in questo caso si sono limitati a rastrellare azioni sul mercato. E che in ogni caso stringere i colossi dell’economia italiana alla Libia rende più complicato trattare con Gheddafi sulle questioni politiche, mettendo alle strette un eventuale futuro governo italiano meno amico della Libia di quello attuale.
Le regole del gioco
Torniamo quindi alle comunicazioni dovute dal fondo sovrano libico. La legge dice che chi intende comprare una partecipazione rilevante di una società deve avvertire la Banca d’Italia e attendere la sua autorizzazione. Che cosa sia una “partecipazione rilevante” è determinato da alcune soglie percentuali: quella del 5 per cento è stata cancellata nel 2009 da una direttiva europea. Dal punto di vista legale, quindi, l’operazione sembra essere regolare. Esiste certamente invece una questione di opportunità, specie per quel che riguarda la mancata comunicazione di Profumo a Rampl dell’avanzata dei fondi libici, e considerata la nota diffidenza dei soci tedeschi nei confronti di Profumo, accusato di accentrare troppi poteri su di sé e trascurare il rapporto della banca col territorio. Da qui si arriva agli articoli particolarmente critici apparsi sulla stampa tedesca, che ha soprannominato Profumo “mister arroganza”. In tutto questo girano voci sul fatto che Profumo volesse allargare la quota dei fondi libici così da avere le mani più libere in consiglio di amministrazione, e questo contribuisce a incrinare il suo rapporto di fiducia con Rampl.
Chi comanda in Unicredit
Alzando un po’ lo sguardo, il tema che preoccupa i soci di Unicredit è il fatto che l’avanzata dei fondi libici possa determinare in un prossimo futuro un cambio di direzione agli organi di governo della banca, garantendo maggiore influenza a istituti che di fatto fanno capo a Gheddafi. Profumo ha garantito che questi cambiamenti non ci saranno e i libici “sono investitori come gli altri”. Fahrat Bengdara, vicepresidente di Unicredit e consigliere del fondo sovrano libico LIA, non ha partecipato al comitato di governance indetto qualche giorno fa per discutere dell’accaduto.
Questioni statutarie
La Libia dice che i due soggetti – la Banca centrale e il fondo LIA – decidono e agiscono ognuno per conto suo. Ma è la Libia, non la Norvegia. Unicredit dovrà decidere se collegare i due soggetti, sospendendo quindi al secondo il diritto di voto, oppure considerarli indipendenti e diversi. Poi toccherà alla Banca d’Italia capire se lo statuto sociale di Unicredit è stato interpretato nel modo corretto. Anche la Consob dovrà dire la sua specie perché, come ha raccontato Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera, un fondo sovrano che non pubblica il proprio bilancio, non ha un sito internet ed è agli ultimi posti nelle classifiche internazionali sulla trasparenza non ha grande reputazione e potrebbe aver commesso delle irregolarità nella scalata. Durante il comitato strategico di Unicredit, convocato per giovedì in vista del consiglio di amministrazione del 30 settembre, il presidente Dieter Rampl avrebbe dovuto dare i primi aggiornamenti sull’istruttoria interna volta a valutare l’impatto dell’influenza libica sulla governance della banca. Ma tutto è stato anticipato al CdA straordinario di martedì.
Do ut des?
Una settimana dopo la scalata del fondo sovrano libico a Unicredit, la Libia ha dato a Unicredit la licenza per aprire una filiale nel proprio paese. La Libia aveva annunciato all’inizio dell’anno la concessione di due licenze a banche straniere, offrendole a colossi del calibro di Hsbc, Standard Chartered, Mashreq Bank, National Bank of Dubai, Qatar Islamic Bank, oltre a Unicredit. La competizione era quella che era: la gara è stata gestita dalla Banca centrale della Libia, socia di Unicredit, il cui governatore è Farhat Omar Bengdara, vicepresidente della stessa Unicredit. Ora la banca di Profumo potrà entrare in joint venture con i gruppi finanziari locali, detenendo una quota del 49 per cento della filiale e mantenendo il pieno controllo operativo della nuova rete di sportelli.
Le pressioni su Profumo
Il comitato strategico di cui dicevamo aveva diffuso ieri un comunicato in cui comunica che si occuperà anche di “un conto economico deludente”. Poi ci sono gli esuberi, oltre quattro mila, previsti per i prossimi mesi. Dello storico scetticismo dei tedeschi abbiamo detto, così come delle critiche da parte della Lega. Diversi osservatori sostengono che la situazione sia insomma molto fluida, e che il caso Libia abbia contribuito a fare arrivare al pettine nodi che esistevano già da tempo: in gioco c’è, per l’appunto, la guida del più grande istituto di credito d’Europa, uno dei più grandi del mondo.