In Thailandia tornano le camicie rosse
I manifestanti sono tornati a protestare contro il governo, nonostante lo stato di emergenza
Seimila camicie rosse hanno manifestato ieri a Bangkok, in Thailandia, nonostante le norme stringenti imposte dallo stato d’emergenza in vigore dallo scorso maggio, a seguito dei violenti scontri tra il governo e i ribelli. I manifestanti, radunati nel quartiere di Ratchaprasong, sono tornati a protestare contro il governo del primo ministro Abhisit Vejjajiva, salito al potere alla fine del 2008 due anni dopo il colpo di stato militare del settembre 2006.
Le camicie rosse hanno marciato per le strade di Bangkok urlando “Abhisit vattene” e “Qui sono morte delle persone”, in riferimento agli scontri di questa primavera in cui sono stati uccisi 90 manifestanti e altri 1.400 sono rimasti feriti negli scontri con le forze dell’ordine. La manifestazione è terminata con una veglia alla luce delle candele e 10 mila palloncini rossi liberati in ricordo delle vittime.
«Questa manifestazione ha dimostrato che tante camicie rosse, nonostante lo stato d’emergenza in corso, hanno ancora la voglia e la passione di esprimere ciò che provano» ha detto Sombat Boonngamanong, uno degli organizzatori della protesta. «Abbiamo imparato la lezione e ora dobbiamo uscire dall’ombra».
I manifestanti contestano la legittimità del premier Vejjajiva, salito al potere due anni dopo il colpo di stato del 2006 agevolato dalla monarchia e dai ceti ricchi del paese. Sostengono invece l’ex primo ministro Thaksin Shinawatra, alla guida del paese dal 2001 al 2006 e ancora un importante punto di riferimento per la politica tailandese. Gli attivisti hanno scelto di indossare camicie di colore rosso per distinguersi dagli oppositori dell’ex primo ministro (che quando era al potere venne criticato dalle associazioni dei diritti umani per la politica violenta nei confronti degli spacciatori di droga e fu protagonista di un forte conflitto d’interessi), che erano soliti condurre le loro marce di protesta con indumenti colorati di giallo.
Lo stato di emergenza è stato adottato durante gli scontri della scorsa primavera, in cui morì anche un fotografo italiano, scatenati dal rifiuto del premier di andare ad elezioni anticipate come chiesto dai manifestanti. Secondo le parole del governo, lo stato d’emergenza è stato stabilito «allo scopo di riportare la pace e l’ordine e di fermare la diffusione di false informazioni all’opinione pubblica tailandese». In realtà ha limitato le libertà dei cittadini: il provvedimento vieta la pubblicazione, la trasmissione e la diffusione delle informazioni ritenute un pericolo per la sicurezza nazionale del paese e le autorità possono prendere l’iniziativa per mantenere l’ordine senza interpellare l’autorità giudiziaria. Le forze di polizia possono inoltre controllare i sistemi di comunicazione, monitorare le telefonate e l’invio di documenti e, se necessario, procedere all’interruzione delle comunicazioni.