I piani di Hitler per distruggere New York
Lo Spiegel racconta i folli (e a volte comici) tentativi della Germania nazista di attaccare gli Stati Uniti
Attaccare gli Stati Uniti mettendo a ferro e fuoco la sua città simbolo, New York, era sempre stato uno dei sogni di Adolf Hitler. Era convinto che degli attacchi mirati avrebbero spinto gli americani ad abbandonare la guerra e Albert Speer, l’architetto preferito del Führer, nei suoi Spandau Diaries ricorda come a Hitler piacesse guardare film in cui città straniere, come Londra, venivano distrutte, e come fosse ossessionato dall’idea di «vedere New York crollare tra le fiamme».
Hilter mise al lavoro i suoi migliori strateghi per trovare un modo di far capitolare New York, già molto tempo prima che la Seconda Guerra Mondiale iniziasse. Attacchi sottomarini, agenti segreti, missili intercontinentali, kamikaze, bombardamenti aerei: dei molti piani sviluppati qualcuno fallì miseramente mentre altri non vennero mai messi in pratica. Li racconta tutti lo Spiegel, e li trovate anche raccolti nel libro Target America: Hitler’s plan to attack the United States disponibile online.
Il Messerschmitt Me 264
Willy Messerschmitt era uno dei principali costruttori dell’aviazione militare tedesca. Nel 1937 presentò a Hitler il prototipo di un nuovo aereo durante una visita del Führer alla sua azienda omonima. Secondo il costruttore, il Messerschmitt Me 264 sarebbe stato in grado di raggiungere gli Stati Uniti partendo dalla costa occidentale europea. Hitler, eccitato all’idea, non sapeva però che in realtà il prototipo che stava osservando era solo un modello incapace di volare, che Messerschmitt aveva costruito per accaparrarsi il denaro del contratto. I tempi per la costruzione di un prototipo reale erano sconosciuti.
L’Operazione Pastorius
È allo stesso tempo l’operazione più affascinante e assurda di tutte. Nell’aprile del 1942 la Germania nazista reclutò otto persone che avevano già vissuto negli Stati Uniti e le spedì a Gut Quenzsee, una città a 75 chilometri da Berlino, per allenarle e prepararle alla loro grande missione: infiltrarsi negli Stati Uniti e abbattere i suoi punti nevralgici: ponti, centrali elettriche, tunnel. Nessuno di loro aveva mai partecipato a operazioni di intelligence, e nei diciotto giorni di corso intensivo in sabotaggio ricevettero lezioni di combattimento (ju jitsu, in particolare) e istruzioni su come piazzare gli esplosivi e far detonare bombe.
In giugno gli otto uomini si divisero in due gruppi da quattro e salparono in mare a bordo di due sottomarini, un U-548 diretto in Florida e un U-202 diretto a Long Island, obiettivo New York. Il secondo arrivò al largo della costa americana nella notte del 12 giugno 1942, ma il capitano Hans-Heinz Lindner calcolò male l’altezza dell’acqua: all’alba del 13 giugno il sottomarino si era arenato sul fondale sabbioso dell’oceano, a soli 200 metri dalla strada che costeggiava l’oceano. Il capitano riuscì però a uscire dall’impaccio e, prima che le prime automobili lo vedessero, riuscì a disincagliarsi, fare retrofront e immergersi nell’Atlantico come se nulla fosse successo. E questo era solo l’antipasto dell’imbarazzante fallimento degli agenti segreti.
Georg John Dasch era il leader del quartetto approdato a Long Island, e fu principalmente sua la colpa del disastro. Dal sottomarino cercò di raggiungere la costa con un gommone, rischiando però di affogare. Venne trovato da John Cullen, un ventunenne della Guardia Costiera a cui raccontò di essere un pescatore. Vedendolo perplesso, Dasch minacciò il giovane e gli lasciò 260 dollari in cambio del suo silenzio. Ovviamente Cullen non rispettò la propria promessa e corse ad avvertire i colleghi che perlustrando la zona trovarono sepolte nella spiaggia quattro casse di esplosivi e delle uniformi tedesche.
Intanto, però, i quattro erano riusciti a prendere un treno per New York. La missione durò però ancora pochissimo, perché Dasch, il leader, e un altro degli uomini decisero di consegnarsi immediatamente alle autorità. Dasch andò a Washington D.C. dove però incontrò una difficoltà che non si aspettava: nessuno gli credette, nonostante i suoi tentativi di mostrare loro le istruzioni della missione scritte con inchiostro trasparente. I poliziotti a cui si confessò lo presero per matto finché rovesciò sulla scrivania dell’ufficiale di polizia D.M. Ladd 84 mila dollari, che oggi equivarrebbero a 1,1 milioni di dollari. Il gesto convinse la polizia a prenderlo sul serio, e in un lungo interrogatorio Dasch confessò ogni singolo dettaglio dell’operazione. La polizia di Washington si mise quindi alla caccia degli altri sette, che nel frattempo non avevano comunque brillato per le loro doti di 007: uno di loro aveva abbandonato la missione a causa di un attacco di gonorrea, uno aveva raccontato tutto a un vecchio amico e un altro era andato a far visita al padre, chiedendogli di comprargli una Pontiac nera sportiva che, secondo le sue parole, gli serviva per viaggiare in giro per gli Stati Uniti per conto del governo tedesco. Dasch e Peter Burger — l’altro reo confesso — furono graziati dalla pena di morte dal presidente Franklin D. Roosevelt e vennero condannati a 30 anni di prigione. Gli altri sei vennero giustiziati sulla sedia elettrica l’8 agosto 1942.
Le armi miracolose
Il centro di ricerca militare di Peenemünde, un paese sull’isola di Usedom nel Mar Baltico, era specializzato nello sviluppare armi sperimentali, le cosiddette “armi miracolose”. È il centro di Peenemünde che sviluppò i V-2, il precursore dei missili balistici. Quando la guerra si mise male per la Germania le speranze ricaddero quindi sul centro, che sperava di sviluppare in tempo il “missile America”, l’A-9/A-10, un razzo di 25 metri e 100 tonnellate che sarebbe dovuto salire in cielo per 24 chilometri prima di iniziare a planare verso gli Stati Uniti. Un altro gruppo di ricerca, parallelamente, disegnò il missile in maniera che un uomo potesse guidarlo in una missione suicida verso l’obiettivo, una missione che trovò molti potenziali volontari. Un altro piano fu quello di avvicinarsi alle coste degli Stati Uniti con sottomarini trainanti missili V-2. La direzione del missile sarebbe stata stabilita riempiendo più o meno d’acqua il sottomarino, un’operazione non agilissima, considerando i 12 metri di lunghezza del V-2.