Cosa sono gli àscari (e i giovani turchi)
Secondo il manager di Condé Nast Carlo Verdelli i giornali non spiegano le cose ai lettori
Al Post cerchiamo di spiegare le notizie che non si capiscono tanto bene, o quelle che non capiamo tanto bene noi. Ci capita spesso. Ieri, a un incontro di giornalisti e dipendenti della casa editrice Condé Nast (quella che pubblica Vanity Fair, GQ, Wired e Glamour, tra gli altri), il vicepresidente Carlo Verdelli – ex direttore di Sette, Vanity Fair e Gazzetta dello Sport – ha spiegato che il sintomo della perdita di senso del giornalismo italiano si è manifestato questa settimana quando molti giornali italiani, a proposito del gruppo di presunti nuovi parlamentari in sostegno alla maggioranza, hanno usato per definirne gli appartenenti il termine “ascari”. Secondo Verdelli i giornalisti si disinteressano dell’eventualità che i lettori conoscano o capiscano quel che scrivono.
Fatta una verifica in redazione sulla nostra discreta somiglianza al lettore immaginato da Verdelli (“i che?”), al Post abbiamo pensato di informarci, e metterci una pezza: con un soprammercato di “giovani turchi”, evocati assai a proposito del documento di alcuni membri del PD di una settimana fa.
Àscari
In arabo, “askar” significa soldato. Il termine indica i soldati indigeni dell’Africa Orientale Italiana che facevano parte delle truppe coloniali presenti nel continente. Il corpo militare assunse queste nome dal gruppo dei mercenari eritreo dell’Armata Hassan (Basci Buzuk, ovvero le teste matte). Verso la fine dell’Ottocento, il colonnello italiano Tancredi Saletta a capo della prima spedizione militare nell’Africa orientale decise di comprare il gruppo di mercenari e inquadrarli nelle truppe regolari, senza incarichi da ufficiali e furono ribattezzati semplicemente ascari.
I militi indigeni erano riconoscibili dal resto dei soldati anche grazie alle loro divise che comprendevano un fez rosso e una fascia con i colori del loro battaglione di appartenenza. Venivano arruolati solamente gli uomini che riuscivano a sostenere una marcia di 60 chilometri. Erano disciplinati rigidamente e i più alti in grado non lesinavano scudisciate per mantenere l’ordine. Parteciparono a numerose battaglie e nel 1940 il Regio esercito contava 256mila ascari nell’Africa orientale italiana. Determinati e combattivi, si arrendevano difficilmente al nemico e si guadagnarono la stima degli eserciti nemici più di alcuni reparti di italiani. In Eritrea ci sono ancora 200 àscari che combatterono nell’esercito italiano ai tempi della Seconda guerra mondiale. Ricevono una pensione offerta dal governo italiano pari a 100 euro.
Il termine viene quindi a volte usato in riferimento a forme di attività “mercenarie” in senso proprio o figurato.
Giovani Turchi
Erano gli appartenenti a un movimento dell’inizio del Novecento nell’Impero Ottomano protagonista di una rivoluzione che reinsediò il parlamento: i Giovani Turchi miravano alla creazione di una monarchia costituzionale che sostituisse l’Impero, mal amministrato e poco democratico.
Del movimento facevano parte intellettuali e studenti universitari di area progressista. L’idea era quella di liberarsi dei “vecchi turchi” e di avvicinare il paese alla cultura occidentale. I Giovani Turchi avevano anche un gruppo militare che nel 1908 marciò sulla capitale e ottenne dal sultano una costituzione più aperta e alcuni cambiamenti all’ordinamento dello stato. Secondo alcuni storici, la visione eccessivamente centralista del movimento contribuì allo sgretolamento dell’Impero e alla progressiva scomparsa delle aree di influenza ottomana in Europa. Negli anni successivi il movimento ebbe divisioni e sviluppi e si rese responsabile delle persecuzioni e del genocidio contro il popolo armeno.
Il termine “Giovani Turchi” viene da allora usato per definire movimenti riformisti e volti alla modernizzazione o semplicemente alla sovversione dello status quo all’interno di istituzioni di diverso genere .