Stati Uniti, ancora vittorie per i tea party
Ancora vittorie per i tea party, che sbaragliano un po' ovunque i repubblicani moderati
Ieri negli Stati Uniti si è tenuto l’ultimo significativo giro di primarie in vista delle elezioni di metà mandato del prossimo 2 novembre. Le cose più interessanti da tenere d’occhio erano tre, tutte interne al partito repubblicano, e confermano due fenomeni già visti in questi mesi: la grande mobilitazione dell’elettorato ultraconservatore e il fatto che questa stia promuovendo, tra i repubblicani, candidati forse meno eleggibili di quelli che sconfiggono e quindi apparentemente più deboli in vista di novembre.
In Delaware era in palio una candidatura al senato, contesa da Christine O’Donnell, repubblicana dissidente sostenuta dai tea party, e il deputato Michael N. Castle. Il secondo è un esponente dell’establishment repubblicano dello stato, eletto regolarmente da praticamente quarant’anni, ma questo non è l’anno buono per i repubblicani centristi e moderati. O’Donnell, che pochi giorni fa aveva ricevuto il sostegno di Sarah Palin, ha battuto il suo avversario assicurandosi la nomination, sconfiggendo così non solo Castle ma anche il partito repubblicano dello stato, che le ha fatto campagna contro con gran decisione. O’Donnell è un tipino: già consulente per l’astinenza sessuale (Rachel Maddow ha tirato fuori un vecchio video in cui faceva propaganda contro la masturbazione su MTV), aveva tentato altre volte di essere eletta da qualche parte, senza mai riuscirci. Alle elezioni di novembre sfiderà il semisconosciuto Chris Coons, unico candidato alle primarie democratiche. Beau Biden, il figlio del vicepresidente, si starà mangiando le dita: aveva pensato per mesi alla possibilità di candidarsi e aveva poi rinunciato a causa della popolarità di Castle. Contro una candidata più di parte e meno eleggibile come O’Donnell la vittoria poteva essere a portata di mano.
Anche in New Hampshire i repubblicani si giocavano una candidatura al senato, in bilico tra Kelly Ayotte e Ovide Lamontagne. Le schede si stanno ancora contando, e in questo momento i due candidati sono testa a testa: con l’85 per cento delle schede scrutinate, Ayotte è al 38,2 e Lamontagne al 37,4. Lo spoglio si può seguire qui. Lamontagne ha 52 anni, fa l’avvocato e ha origini franco-canadesi: è molto conservatore, contrario al matrimonio gay e all’aborto, ed è il candidato preferito dai tea party. Nel 1996 si era candidato a governatore dello stato, perdendo. La lotta è resa interessante dal fatto che nonostante questo l’endorsement di Sarah Palin sia andato a Kelly Ayotte, anche lei non esattamente una moderata ma dal profilo più gradito all’establishment repubblicano.
A New York, invece, in ballo c’era la candidatura a governatore. Se la sono giocata Rick Lazio, ex deputato, già stritolato da Hillary Clinton in un tentativo di candidatura al senato del 2006, e Carl Paladino: imprenditore milionario, religione cattolica, sostegno dei tea party. E infatti ha vinto, Paladino, completando una rimonta impressionante nei confronti del suo ben più popolare avversario. Si tratta di una grossa notizia, visto che storicamente a New York gli unici repubblicani di successo sono stati moderati, centristi e di buon senso. Il New York Times la mette giù abbastanza tragica:
Questo risultato è un colpo potenzialmente destabilizzante per i repubblicani di New York. Hanno messo in testa al loro ticket un nuovo arrivato che conoscono poco, che inoltra ai suoi amici email con battute razziste e immagini pornografiche, che ha preso le difese di un suo alleato che aveva definito lo speaker dell’Assemblea, un ebreo, come “l’anticristo, o Hitler”.
Paladino sfiderà Andrew Cuomo, democratico, oggi procuratore generale dello stato, che gode di un vantaggio immenso nei sondaggi e ha già raccolto 24 milioni di dollari. “Gli abbiamo regalato la vittoria”, ha detto al New York Times un repubblicano di Manhattan. “Abbiamo regalato a Cuomo la vittoria”.