PD, la quiete del giorno dopo
Il ritiro del documento antiveltroniano comprime le tensioni e conserva lo status quo: ma Repubblica parla di "tregua rotta"
Il merito del documento prodotto da alcuni dirigenti del PD e pubblicato ieri dal Post è di avere messo sulla scena senza ipocrisie due opposte visioni del futuro del Partito Democratico (e del suo passato) e dell’Italia. I quarantenni che lo stavano firmando prima che esplodesse il caso che ha portato al suo ritiro e alla sospensione dell’annunciato raduno di Orvieto, dicono chiaro e tondo che non vogliono più il PD di Veltroni e del Lingotto, delle grandi visioni moderniste, del partito leggero e diffuso all’americana, ma credono a un ritorno alla solidità del partito forte, strutturato, e ancorato a una lettura più economica della società e meno romantica e psicologista. Una costruzione che ha molti consensi e un forte vantaggio rispetto all’esperimento veltroniano (che pure molti consensi aveva, e ottenne il 33% dei voti alle scorse elezioni): ed è che il secondo ha perso, dichiarando fallimento con le dimissioni di Veltroni (si potrebbe obiettare che il primo abbia perso molto prima, con i fallimenti dell’era berlusconiana: ma si gioca uno per volta). E che adesso due idee forti e radicalmente opposte si possano fronteggiare finalmente in modo aperto, e incarnate da rappresentanti che siano diversi da quelli che le hanno viste sconfitte in passato (già stiamo smettendo di chiamarli dalemiani, e sono stati molto critici su quella classe dirigente; mentre sul fronte post-veltroniano i più attivi al momento sembrano essere Matteo Renzi e Pippo Civati, che veltroniani puri non sono mai stati ma hanno sostenuto quel progetto) è sicuramente una buona notizia per il PD.
Invece, tornando a oggi, il documento dei “giovani turchi” (ieri avevamo indicato una certa fragilità storica di questa formula messa in circolazione) pare avere suscitato di nuovo tensioni sotteranee e odii trattenuti, più che una contesa aperta. La questione è raccontata oggi da Goffredo De Marchis su Repubblica (ieri mattina il quotidiano, assieme al Messaggero, aveva anticipato l’esistenza del documento).
Il nuovo clima di tensione nel Partito democratico coinvolge anche la Festa di Torino. Che oggi si chiude con il tradizionale comizio finale del segretario Pier Luigi Bersani. Troppo tradizionale, appunto. Roba da vecchio Pci. Sia Veltroni sia Franceschini, i leader precedenti avevano scelto altre strade proprio per marcare la discontinuità. Il primo, nel 2008 a Firenze, aveva fatto un’intervista come gli altri nei giorni centrali della kermesse. Il secondo, a Genova, aveva indossato nella giornata di chiusura il grembiule del volontario servendo ai tavoli. «Ci preoccupa questo salto all’indietro nel simbolismo del secolo scorso – dicono alcuni veltroniani – . Il Pd doveva rompere con gli schemi antichi. Anche in maniera plastica». Dice l’ex ppi Beppe Fioroni: «Il segretario di un partito ha il diritto di parlare al suo popolo. Ma il comizio di chiusura è un simbolo superato, un modo per adagiarsi sul tempo che fu. Spero che non sia un altro segno di rinuncia all’innovazione».
La tregua dei mesi scorsi è ormai rotta e su alleanze, feste, struttura stessa del partito, l’offensiva di Walter Veltroni e dei suoi viene vista come un pericolo da Bersani e dalla sua maggioranza. Come anticipato da Repubblica, alcuni membri della segreteria vicini al leader hanno predisposto un documento molto critico con la Seconda repubblica e in particolare con il Pd gestito da Veltroni. Parole forti contro il bipolarismo e contro la deriva «hollywoodiana» del centrosinistra. I fedelissimi dell’ex sindaco di Roma hanno reagito con forza. «È un testo reazionario – spiega Giorgio Tonini – . Con molta nostalgia per la Prima repubblica e gli equilibri Dc-Pci». S’infuriano le componenti della segreteria Stella Bianchi e Annamaria Parente, vicine a Veltroni: «Avevamo fatto un buon lavoro insieme ma questo documento indebolisce tutto. Mina le fondamenta del Pd, per noi è inaccettabile». I “giovani turchi” (Fassina, Stumpo, Gualtieri, Orlando, Orfini), come si sono autodefiniti i firmatari richiamandosi al movimento di Ataturk, confermano la loro linea, ma per evitare una nuova grana al segretario annullano il convegno in cui si dovevano discutere le loro tesi. Non si vedranno più a Orvieto il 25 settembre. Lo annuncia Davide Zoggia: «Non siamo contro qualcuno, volevamo solo dare un contributo. Ma rinviamo e raccoglieremo altri contributi».
Adesso i casi sono due: o continuano a volersi morti nei corridoi delle sedi del PD, oppure i quarantenni su ambo i fronti smettono di avere paura, rompono gli indugi e propongono due alternative politiche che scongiurino la terza (la perpetuità della dirigenza attuale e delle sue immutabili letture del mondo). Senza ritirare la mano.