L’amico scomodo di Ahmadinejad
Il consigliere più fidato del presidente iraniano sta aggravando la spaccatura tra l'ala militare e quella religiosa del regime
La definizione “amico scomodo” è dell’Economist, che lo descrive e ne racconta la storia, e già questo di per sé è insolito. Solitamente è il presidente iraniano a essere l’amico scomodo di qualcuno, una volta di Lula e un’altra di Medvedev, e bisogna essere veramente scomodi per arrecare imbarazzi a un uomo politico estremista e controverso come Ahmadinejad.
Lui si chiama Esfandiar Rahim Mashai, è un vecchio amico di Ahmadinejad ed è il suo consigliere più fidato. L’Economist racconta come il suo ruolo sia stato cruciale nell’estate del 2009, quando la rielezione di Ahmadinejad portò alle proteste di piazza a Teheran e all’onda verde. Da tempo era nota la spaccatura nell’ala conservatrice del regime, tra i sostenitori della via militare e quelli della via religiosa, tra gli uomini più vicini al Presidente e quelli più vicini all’Ayatollah. Mashai fu fondamentale nel riunire i conservatori dietro Ahmadinejad.
Mashai rappresenta tutti quei tradizionalisti e conservatori a cui la presidenza di Ahmadinejad non va giù. La Repubblica Islamica è fondata sull’idea che i musulmani aspettano il cosiddetto “dodicesimo imam”, un nuovo messia nascosto da Dio in stato di occultamento. In attesa del messia, spetta ai clerici dirigere e organizzare il genere umano. Sembra che Mashai sostenga di avere un collegamento diretto con l’imam nascosto, e per questo considera superflua l’intercessione dei religiosi.
A lungo i critici di Mashai sono rimasti nell’ombra. Durante l’estate, però, diversi conservatori hanno avanzato dubbi e sospetti riguardo un tentativo di Ahamdinejad di emarginare progressivamente il clero dalla vita politica e pubblica del paese. Alcuni hanno avanzato strumentalmente l’ipotesi che Mashai lavori con il Movimento verde per minare le fondamenta della Repubblica Islamica. Non è vero, ma la figura di Mashai si presta a questo genere di accuse, comportandosi spesso in modo provocatorio. È un’estremista, ma non gli interessano le minacce apocalittiche a Israele. Ha avuto una relazione con una famosa attrice. Fosse stato un riformista, scrive l’Economist, il regime l’avrebbe messo a tacere diversi mesi fa.
Mashai è stato fra l’altro il regista del viaggio in Iran offerto agli esuli, di cui avevamo scritto sul Post. Durante quell’iniziativa – finita piuttosto male – Mashai cercò ci guadagnarsi la benevolenza dei suoi ospiti parlando della storia pre-islamica dell’Iran, di come l’Iran avesse salvato l’islam dal diventare una religione provinciale confinata nei paesi arabi. I religiosi non l’hanno presa bene. “Se qualcuno abbandona l’islam”, ha detto l’ayatollah Muhammad Taqi Mesbah Yazdi, “noi lo avvertiamo. Poi, se continua, lo picchiamo”.
È normale quindi che per i suoi nemici, la vicinanza di Mashai al governo lo rende ancora più minaccioso. L’estate scorsa era stato promosso vicepresidente e Khamenei fece ritirare la nomina, costringendo Mashai a ripiegare sull’incarico di capo dello staff. Oggi Mashai intrattiene relazioni con diversi capi di stato, occupandosi di rappresentare il presidente nei rapporti con le altre nazioni del Medioriente.
Anche questo ha creato polemiche, visto che Mashai fa parte di uno staff diplomatico indipendente da quello del ministero degli esteri, rigidamente controllato da Khamenei. Ahmadinejad lavora sul nucleare anche per questa ragione: per essere visto come un attore internazionale sul livello degli Stati Uniti e quindi rafforzare la sua presidenza anche dagli attacchi dei nemici interni al regime. Si tratta di un gioco che presenta molti rischi, però, perché il rafforzarsi di Ahmadinejad preoccupa i religiosi e lo rende a loro più estraneo. Anche la sua vicinanza con Mashai lo allontana dalla Guida suprema, e questo complica anche la vita degli Stati Uniti.
L’opacità della struttura politica iraniana rende complesso il lavoro diplomatico. Sebbene Khamenei abbia sempre diritto all’ultima parola, non sempre è chiaro chi comanda. Non si tratta semplicemente di uno scontro tra conservatori e riformisti, bensì di una faida interna ai conservatori. Khamenei ha cercato di arginarla, senza grandi successi. E lo stesso Mashai avrebbe detto che è solo questione di tempo “prima che certe persone chiamino Ahmadinejad un apostata”.