Traballa l’inchiesta sulla lobby di Carboni
La Cassazione ha annullato l'ordinanza di custodia cautelare nei confronti della ghenga
La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare che dall’8 luglio costringe in carcere i cosiddetti “pensionati sfigati”: il settantenne Flavio Carboni, il giudice tributario Pasquale Lombardi e l’ex assessore del comune di Napoli Arcangelo Martino. Ora il tribunale del Riesame dovrà valutare nuovamente l’istruttoria sul caso, e quindi anche la gigantesca mole di intercettazioni telefoniche, e decidere se motivare nuovamente la loro detenzione o deciderne la scarcerazione: intanto, in attesa del nuovo giudizio, gli imputati resteranno agli arresti. L’inchiesta è quella per violazione della legge Anselmi sulle società segrete, che vede indagati anche il senatore Marcello Dell’Utri, il coordinatore del PdL Denis Verdini e il sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo.
Secondo l’accusa, la ghenga di Carboni avrebbe lavorato, tra le altre cose, allo scopo di interferire nelle nomine di alcuni giudici e nella sentenza della Corte Costituzionale sul lodo Alfano, avrebbe fabbricato un falso dossier su Caldoro per favorire Nicola Cosentino e avrebbe fatto pressioni sulla Corte d’appello di Milano perché la lista elettorale di Formigoni alle ultime elezioni regionali fosse riammessa e pilotato gli appalti sull’energia eolica in Sardegna. Il tribunale del Riesame aveva dato ampio credito alle tesi dell’accusa ma ieri la Corte Costituzionale di fatto riaperto la partita, accogliendo i ricorsi presentati da Carboni e Lombardi.
Entro un mese saranno depositate le motivazioni, che chiariranno se si tratta di un rilievo legato alla forma o alla sostanza: se volte a una riformulazione dell’accusa in virtù di un reato più grave o di un vizio nell’elaborazione dell’istruttoria. I sostenitori della prima tesi dicono che se il sistema accusatorio fosse crollato la Cassazione non avrebbe stabilito che i tre dovessero rimanere comunque in carcere fino alla nuova decisione del tribunale del Riesame. I secondi – tra cui gli avvocati dei tre, ovviamente – sostengono che la Corte ha accolto almeno uno dei tre rilievi che loro avevano mosso: uno sul piano della configurabilità di un reato come quello della costituzione di un’associazione segreta, uno sull’utilizzo delle conversazioni intercettate degli indagati con parlamentari, uno sull’interpretazione data dall’accusa a quelle conversazioni.
Il punto più delicato sembra essere quello sulle intercettazioni dei parlamentari. Per intercettare un parlamentare, infatti, serve un’autorizzazione a procedere da parte della camera di appartenenza dell’indagato: la procura non ce l’aveva, e intanto intercettava decine di colloqui di Carbone, Lombardi e Martino con Dell’Utri, Cosentino, Caliendo, Lusetti. L’accusa sostiene che “non era prevedibile che gli indagati contattassero dei parlamentari”, mentre la difesa afferma che – appresi dei contatti dei tre della ghenga con i parlamentari – la procura avrebbe dovuto fermarsi e chiedere l’autorizzazione a procedere al Parlamento. La Cassazione potrebbe aver sollevato un rilievo proprio su questo fronte, chiedendo quindi al tribunale del Riesame di rielaborare la propria posizione senza utilizzare i testi raccolti dai colloqui di Carboni, Martino e Lombardi con i parlamentari.