“Sono ancora vivo, ma in prigione”
Un giornalista giapponese rapito in Afghanistan era riuscito a mandare un messaggio su Twitter
Kosuke Tsuneoka è un giornalista giapponese, rapito lo scorso aprile in Afghanistan mentre attraversava una zona a nord del paese controllata dai talebani. Sabato notte, cinque mesi dopo, i militanti lo hanno liberato. Una volta tornato a casa ha potuto chiarire l’origine dei messaggi che erano apparsi su Twitter il giorno prima della sua liberazione.
Il 3 aprile, alle 16.15, sull’account di Tsuneoka fermo dal giorno del rapimento appare questo messaggio:
“sono ancora vivo, ma in prigione”
Pochi minuti dopo arriva un altro messaggio, sempre in inglese:
“sono ad archi, in kunduz. nella prigione del comandante della zona”
Sul momento, chi segue Tsuneoka dubita dell’autenticità di questi tweet. Innanzitutto perché Tsuneoka non scriveva mai in inglese, e stavolta sì. In secondo luogo perché si credeva che Tsuneoka – ammesso che fosse ancora vivo – si trovasse in una remota regione dell’Afghanistan, tra deserto e montagne, sotto la stretta sorveglianza dei talebani: altro che Twitter. Si pensava quindi che qualcuno avesse in qualche modo trovato la password dell’account e avesse deciso di fare uno scherzo dal gusto discutibile.
Il giorno dopo però Tsuneoka è stato liberato, e una volta in Giappone ha avuto modo di raccontare com’è andata: quei messaggi erano davvero suoi. Tsuneoka ha spiegato che a un certo punto uno dei militanti è arrivato da lui facendogli vedere il suo nuovo cellulare, chiedendogli se poteva aiutarlo con le impostazioni. Voleva leggere Al Jazeera online, ma Tsuneoka è stato abbastanza abile da distrarre la sua attenzione e mostrargli invece Twitter. E mentre gli spiegava il funzionamento di Twitter, mandava quei messaggi sulla sua bacheca.
“Ho fatto così”, ha detto Tsuneoka durante una conferenza stampa a Tokyo. “Ero sicuro che non avrebbero scoperto il trucco”.
Poco dopo i militanti lo hanno liberato. Il governo giapponese ha detto di non aver pagato alcun riscatto, e lo stesso Tsuneoka ha detto di essere stato liberato perché i rapitori avevano capito di non poter cavare nulla dall’azione. Tsuneoka non sarebbe stato ucciso perché musulmano, convertitosi nel 2000. Sebbene il governo giapponese pensi che i rapitori fossero talebani, Tsuneoka ha detto che erano soltanto un gruppo di ladri e criminali che voleva scippare dei soldi al governo giapponese.