Ancora morti negli scontri in Kashmir
Dall'inizio di giugno sono morte sessantanove persone negli scontri con la polizia indiana
Altri quattro manifestanti sono stati uccisi ieri in Kashmir negli scontri con la polizia. Sessantanove persone sono morte negli ultimi tre mesi, dopo l’ondata di proteste innescata dalla morte di un adolescente ucciso lo scorso undici giugno dalla polizia mentre manifestava contro il governo di Delhi per le strade di Siringar.
Le forze di sicurezza indiane hanno imposto il coprifuoco in gran parte della regione e hanno recintato alcuni dei quartieri di Siringar e di altri paesi vicini per evitare che le persone possano uscire di casa e unirsi ai cortei dei manifestanti. Una misura che definiscono di sicurezza, ma che finora non è servita a ridurre né le proteste né il numero delle vittime.
Il Kashmir è una regione a nord del confine tra India e Pakistan ed è al centro delle rivendicazioni politiche dei due stati dal 1947, l’anno in cui il Pakistan ottenne l’indipendenza. Dopo la fine del primo conflitto nel 1949, la regione fu divisa in due parti: la più estesa — quella in cui si trova Siringar — fu assegnata all’India. Da allora il Pakistan ha continuato a rivendicare il territorio, assumendo posizioni sempre più aggressive e intensificando le sue pressioni politiche fino a sostenere la formazione di movimenti insurrezionali. Alcuni di questi chiedono la costituzione di uno stato sovrano e indipendente, come accadde per il Bangladesh nel 1971. Altri chiedono l’annessione al Pakistan. Il conflitto finora ha causato circa 68 mila morti, la maggior parte civili.
Le autorità indiane sostengono che gli scontri degli ultimi mesi sono fomentati dal Pakistan, ma la popolazione locale dice che si tratta di manifestazioni spontanee, causate da anni di frustrazioni represse e dalle continue vessazioni subite da parte delle forze paramilitari indiane. Moltissimi giovani inoltre sono disoccupati da mesi e per questo si sono uniti alle proteste contro il governo di Delhi. India e Pakistan avevano abbandonato le loro trattative diplomatiche in seguito alle accuse di Delhi contro alcuni militanti con base in Pakistan, sospettati di aver compiuto gli attentati di Mumbai del 2008.