La prova chiave
È stato rimosso il dispositivo di sicurezza dalla falla nel Golfo del Messico, potrebbe chiarire le cause (e le colpe) del disastro
Proseguono come da programma i lavori per chiudere la falla nel pozzo di petrolio nel Golfo del Messico, aperta da un’esplosione sulla piattaforma Deepwater Horizon il 20 aprile scorso in cui sono morti undici lavoratori. Nella notte di venerdì è stato rimosso il vecchio e fallato dispositivo di sicurezza dal pozzo ed è stato installato il suo sostituto. Durante la prossima settimana la BP, l’azienda responsabile del disastro, dovrebbe procedere con l’ultima fase del piano, denominata Bottom Kill, che prevede di sigillare definitivamente la falla con un’iniezione di fango, detriti e cemento alla base del pozzo.
I lavori per la rimozione del dispositivo si sono svolti con il massimo della delicatezza, perché proprio quelle 300 tonnellate di metallo potrebbero essere la prova chiave dell’inchiesta sulle cause e le colpe dell’eplosione. Appena il dispositivo sarà trasportato in superficie verrà infatti preso in custodia dagli investigatori governativi che lo esamineranno alla ricerca di possibili indizi su cosa sia esattamente successo quel giorno e perché.
Al momento si sa solamente che l’esplosione è stata causata da una bolla di metano che è sfuggita al dispositivo salendo nel pozzo, ma non è ancora chiaro come e perché il gas sia riuscito a fuoriuscire. Diverse inchieste giornalistiche hanno passato in rassegna tutti gli errori o presunti tali della BP e della Transoceanic — la società a cui l’azienda petrolifera britannica aveva appaltato i lavori — ma si dovrà attendere ancora molto prima che arrivino delle risposte ufficiali.
La BP ha intanto dichiarato d’aver speso circa 8 miliardi di dollari nei suoi sforzi per combattere la fuoriuscita di petrolio, indennizzi economici compresi. Ieri l’azienda petrolifera inglese ha chiesto al Congresso degli Stati Uniti di fermare la proposta di legge che limiterebbe le trivellazioni perché dover sospendere parte dei progetti in corso potrebbe impedire all’azienda di avere i soldi necessari a ripagare tutti i danni — ad ambiente e persone — causati dall’esplosione e dalla perdita. L’azienda ha comunque confermato la volontà di mantenere gli accordi con il governo americano sul fondo da 20 miliardi di dollari in quattro anni istituito per risarcire le aziende e i privati danneggiati.