Einstein secondo loro
L'autore scientifico John Brockman ha chiesto a 24 grandi pensatori di scrivere dello scienziato
Albert Einstein non ha evidentemente bisogno di presentazioni. Scienziato rivoluzionario, icona pop, è stato omaggiato e ricordato un numero innumerevole di volte. L’autore scientifico e agente letterario John Brockman ha cercato di mettere insieme una testimonianza in qualche modo definitiva sullo scienziato tedesco, chiedendo a ventiquattro grandi scienziati contemporanei di scrivere qualcosa riguardo a lui: come lo vedono, cosa ha significato per loro, come ha cambiato le loro vite. Il libro si chiama “Einstein secondo me”, è edito da Bollati Boringhieri ed è uscito oggi in libreria.
L’introduzione di John Brockman
Quasi tutti i lettori conosceranno già piuttosto bene Albert Einstein, di cui abbiamo celebrato il centenario nel 2005. Non si tratta del centenario della nascita ma di quello del suo annus mirabilis, durante il quale pubblicò cinque articoli che modificarono per sempre la nostra percezione della realtà.
Riprendiamo i fatti essenziali: Einstein nacque il 14 marzo 1879 a Ulm, nel Württemberg, in Germania, e morì il 18 aprile 1955 a Princeton, nel New Jersey. I cinque lavori del 1905 sono la sua tesi di dottorato sulla determinazione delle dimensioni molecolari e altri quattro, più famosi, elencati qui nell’ordine in cui furono proposti per la pubblicazione agli «Annalen der Physik»: – sui quanti di luce e l’effetto fotoelettrico (Su un punto di vista euristico relativo alla produzione e trasformazione della luce, il saggio per il quale gli fu assegnato il Premio Nobel nel 1921); – sul moto browniano (Sul moto delle particelle sospese in liquidi in stato di quiete, alla luce della teoria molecolare del calore); – due articoli sulla relatività speciale (Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento e L’inerzia di un corpo dipende dal contenuto di energia?, in cui appare la famosa equazione di materia ed energia, E = mc2).
Negli anni successivi a questa spettacolare produzione, Einstein si dedicò principalmente a incorporare la forza gravitazionale nella teoria della relatività, e nel 1916 pubblicò I fondamenti della teoria generale della relatività. In questo saggio e in quello dell’anno successivo, intitolato Considerazioni cosmologiche sulla teoria generale della relatività, cercò in un certo senso di spiegare l’universo stesso. In quest’ultimo articolo introdusse la costante cosmologica, poi da lui ripudiata come il suo «più grave errore» ma rivalutata oggi da alcuni cosmologi perché riesce a descrivere l’accelerazione dell’espansione dell’universo, una scoperta recente.
Einstein è chiaramente il personaggio più importante del ventesimo secolo. È diventato una vera e propria icona, al di là perfino (purtroppo, secondo alcuni) del suo genio scientifico. Pensiamo tutti di conoscerlo, pur vedendolo in modi diversi. Ho chiesto quindi agli autori che hanno collaborato a Einstein secondo me di rispondere alle seguenti domande: chi era Einstein per te? Che influenza ha avuto sulla tua visione del mondo, le tue idee, la tua scienza? Come ti ha ispirato da un punto di vista personale? Chi era il tuo Einstein? I ventiquattro autori dei saggi di Einstein secondo me sono tra i fisici teorici e sperimentali, gli storici della scienza e gli autori scientifici più brillanti al mondo. Ma questo libro non parla solo di fisica. È una collezione di scritti personali, un’opportunità unica di scoprire come giudicano l’eredità scientifica e filosofica di Einstein e la sua influenza sulla loro vita e opera.
E per me? Chi è Einstein?
Ricordo il momento in cui seppi della sua morte. Mi arrestai bruscamente davanti al titolo di un giornale in un’edicola nella metropolitana di Boston. Avevo quattordici anni. Fu un attimo devastante, in cui provai autentico dolore e senso di perdita. A quei tempi la mia famiglia si era già trasferita nella relativa pace e tranquillità dei quartieri residenziali, ma per i primi dieci anni di vita avevo dovuto imparare tattiche di sopravvivenza nell’«altra» Boston, a chilometri di distanza dalle eleganti barche a vela sul fiume Charles, la cupola d’oro brillante della State House su Beacon Hill, la bellezza serafica di Harvard, l’architettura audace del mit.
Crebbi a Dorchester negli anni quaranta. Era un quartiere duro, difficile, in cui, prima della Seconda guerra mondiale, padre Charles E. Coughlin, il famigerato «Radio Priest», sguinzagliava dei camioncini per le strade a diffondere le sue prediche antisemite. Quella campagna aveva contribuito a trasformare Dorchester in un terreno di battaglia tra i ragazzini irlandesi e quelli ebrei, in forte minoranza. I tre isolati che dovevamo percorrere a piedi per recarci alla William E. Endicott School su Blue Hill Avenue erano una corsa a ostacoli quotidiana. Mio fratello Philip, che aveva tre anni più di me, doveva difendersi e proteggere anche me. La sensazione di vulnerabilità era acuita dal fatto che i rappresentanti dell’autorità – che fossero insegnanti, tranvieri o poliziotti – si chiamavano sempre Flaherty, O’Reilly o McCormack.
Le risse in cui ci lasciavamo coinvolgere erano spesso accompagnate da una più generale lezione di storia: Philip e io scoprimmo di essere personalmente responsabili della morte della seconda persona della Santissima Trinità. Cercavamo di ragionare, ma nessuno dei nostri discorsi – Gesù era un rabbino, che pregava in ebraico in una sinagoga; sua madre assomigliava alla nostra, non alle loro – riusciva a fare breccia su quei bulletti infuriati. Avevamo però un’arma segreta, potentissima, che loro non avrebbero mai posseduto né capito. In più di un’occasione, vedendoci tornare a casa zoppicanti dopo l’ennesima zuffa, mia madre, mentre ci medicava i nasi sanguinanti e i graffi, ci consolava combattendo strenuamente ogni forma di bigottismo: «Ma guardateli! Cos’hanno, loro? Cuociono un prosciutto di domenica e lo mangiano per tutta la settimana! Gli uomini non si fanno il bagno! Le donne lasciano i neonati nelle carrozzine fuori dai bar! Guardate invece cos’abbiamo noi!» Gli occhi azzurri sprizzavano forza, certezza e orgoglio mentre ci curava le ammaccature. «Quello che abbiamo noi, non ce l’avranno mai. Abbiamo… Einstein!»
Mia madre aveva ragione. Avevamo Einstein con noi, durante i terrificanti anni di scuola e la scoperta della biblioteca pubblica. Era lui a permetterci di nutrire pensieri ambiziosi, di esplorare intellettualmente tutti gli angoli più remoti dell’esistenza. Di apprezzare, di adottare la vita dello spirito. Era sempre con noi. Avevamo Einstein; e ce l’abbiamo ancora.
Mio fratello Philip è diventato ricercatore in fisica ed è andato recentemente in pensione dopo una lunga carriera alla nasa. Ora è Distinguished Research Associate alla nasa e ha ricevuto l’Exceptional Service Medal. Per quanto riguarda me, oggi ho la fortuna di lavorare, e di avere stretto amicizia, con brillanti cosmologi, fisici delle particelle, teorici delle stringhe, tutti, in qualche modo, eredi di Albert Einstein. Potreste definirmi fortunato… ma forse la fortuna non c’entra. Sapete, questo era Einstein… Einstein secondo me.