Il discorso di Obama
Il testo del discorso alla nazione del presidente a proposito del ritiro delle truppe dall’Iraq
di Barack Obama
Buonasera. Stasera vorrei parlarvi della fine della nostra missione di combattimento in Iraq, delle sfide alla sicurezza che dobbiamo affrontare e del bisogno di ricostruire il nostro paese.
So che questo è un momento storico di grande incertezza per molti americani. Abbiamo attraversato quello che ormai è quasi un decennio di guerra. Abbiamo subito una lunga e dolorosa recessione. E a volte, in mezzo a queste tempeste, il futuro che cerchiamo di costruire per la nostra nazione – un futuro di pace duratura e lunga prosperità – può sembrare fuori dalla nostra portata. Ma questa tappa deve servire a ricordare a tutti gli americani che il futuro possiamo costruircelo se riprendiamo il cammino con fiducia e impegno. E deve essere anche un messaggio al mondo, che dica che gli Stati Uniti d’America intendono appoggiare e rafforzare il proprio ruolo di guida in questo giovane secolo.
Da questa scrivania, sette anni e mezzo fa, il presidente Bush annunciò l’inizio delle operazioni militari in Iraq. Da quella sera molto è cambiato. Una guerra per disarmare un paese è diventata una battaglia contro una resistenza. Terrorismo e guerre interne hanno minacciato di distruggere l’Iraq. Migliaia di americani hanno perso la vita, decine di migliaia sono stati feriti. Le nostre relazioni internazionali sono state trasformate. L’unità del paese è stata messa alla prova.
Queste sono state le acque agitate in cui ci siamo trovati durante il corso di una delle più lunghe guerre della storia dell’America. Ma nonostante questo c’è stata sempre una costante in mezzo a queste onde. In ogni occasione, gli uomini e le donne americani in divisa si sono comportati con coraggio e fermezza. Da Comandante in Capo sono orgoglioso del loro sacrificio. Da americano, sono sconvolto dal loro sacrificio e dal sacrificio delle loro famiglie.
Gli americani che hanno combattuto in Iraq hanno completato ogni missione che gli è stata assegnata. Hanno sconfitto un regime che aveva terrorizzato il proprio popolo. Assieme agli iracheni e agli alleati che hanno fatto propri immensi sacrifici, le nostre truppe hanno combattuto isolato per isolato per aiutare l’Iraq ad afferrare l’opportunità di un futuro migliore. Hanno cambiato tattiche per proteggere la gente irachena; hanno addestrato le forze di sicurezza irachene; e hanno catturato i leader terroristi. Grazie alle nostre truppe e ai nostri civili – e grazie alla tenacia del popolo iracheno – l’Iraq ha la possibilità di intraprendere un nuovo destino, anche se molti ostacoli rimangono in piedi.
Quindi stasera annuncio che la missione bellica americana in Iraq è finita. L’Operazione Iraqi Freedom è finita e il popolo iracheno adesso ha la responsabilità della sicurezza del proprio paese.
Questo era l’impegno che avevo preso con il popolo americano quando mi candidai a questo incarico. Lo scorso febbraio, annunciai un piano perché le nostre forze di combattimento abbandonassero l’Iraq, raddoppiando al tempo stesso l’impegno per rafforzare le forze di sicurezza irachene e sostenere il governo e il popolo iracheni. Questo è ciò che abbiamo fatto. Abbiamo ritirato dall’Iraq quasi centomila soldati. Abbiamo chiuso o trasferito agli iracheni centinaia di basi. E abbiamo trasferito milioni pezzi di equipaggiamento fuori dall’Iraq.
Questo completa la transizione della sicurezza verso la responsabilità degli stessi iracheni. Le truppe statunitensi hanno lasciato le città irachene l’estate passata e le forze irachene ne hanno preso la guida con capacità considerevoli e impegno nei confronti dei loro connazionali. Anche se l’Iraq continua a soffrire attacchi terroristici, gli incidenti di questo genere sono al minimo dall’inizio della guerra. E le forze irachene si sono impegnate per combattere Al Qaida, sconfiggendo gran parte del suo ruolo nelle operazioni in Iraq.
Quest’anno ha visto anche la grande partecipazione alle elezioni che l’Iraq ha saputo credibilmente tenere. Un’amministrazione guida il paese mentre gli iracheni costruiscono un governo frutto dei risultati di quelle elezioni. Stasera, incoraggio i leader iracheni a proseguire con premura per formare un governo allargato che sia giusto, rappresentativo e responsabile di fronte al popolo iracheno. E quando quel governo sarà insediato non ci sono dubbi che il popolo iracheno avrà negli Stati Uniti un forte alleato. La nostra missione bellica è finita ma il nostro impegno per il futuro dell’Iraq no.
Un contingente di truppe resterà in Iraq con una missione diversa: consigliare e assistere le forze di sicurezza irachene; supportare le truppe irachene nelle missioni di anti-terrorismo; e proteggere i nostri civili. Coerentemente con quanto stabilito con il governo iracheno, tutte le truppe americane lasceranno il paese entro la fine del prossimo anno. Mentre il nostro esercito si ritira, i nostri civili – diplomatici, consulenti, assistenti – si stanno assumendo il compito di aiutare l’Iraq a rafforzare il proprio governo, risolvere le dispute politiche, ridare casa a quelle persone che si sono disperse a causa della guerra e costruire legami con l’intera regione e con il mondo. Un messaggio che il vicepresidente Biden sta portando al popolo iracheno durante la sua visita di oggi.
Questo nuovo approccio riflette la nostra partnership di lungo termine con l’Iraq, basata su interessi comuni e rispetto reciproco. Certamente la violenza non finirà con la fine della nostra missione di guerra. Gli estremisti continueranno a mettere bombe, attaccare i civili e innescare conflitti. Ma alla fine, questi terroristi mancheranno il loro obiettivo. Gli iracheni sono un popolo orgoglioso. Hanno rifiutato la violenza e non hanno nessun interesse nel vedere una distruzione senza fine. Si rendono conto che, alla fine, soltanto loro potranno risolvere le loro differenze e pattugliare le loro strade. Solo gli iracheni possono costruire una democrazia nei loro confini. Quello che può fare l’America, e che l’America farà, è fornire supporto al popolo iracheno come farebbe un amico e un alleato.
Mettere fine a questa guerra non è solo nell’interesse dell’Iraq: è nel nostro interesse. Gli Stati Uniti hanno pagato un prezzo molto alto per assicurare il futuro dell’Iraq nelle mani del suo popolo. Abbiamo mandato giovani uomini e giovani donne a compiere enormi sacrifici in Iraq, e abbiamo speso risorse enormi all’estero in un periodo di budget molto ristretti nel nostro paese. Lo abbiamo fatto perché crediamo come il popolo iracheno che dalle ceneri della guerra possa nascere un nuovo inizio laggiù, nella la culla della civiltà. Attraverso questo importante capitolo nella storia degli Stati Uniti e dell’Iraq, siamo stati all’altezza delle nostre responsabilità.
Ora è il momento di voltare pagina. E nel farlo, mi rendo conto che la guerra in Iraq è stato un tema molto controverso negli Stati Uniti. Anche in questo caso, è il momento di voltare pagina. Questo pomeriggio, ho parlato con l’ex presidente George W. Bush. È noto che noi due abbiamo avuto idee diverse sulla guerra in Iraq fin dall’inizio. Eppure, nessuno potrebbe mettere in dubbio il sostegno del presidente Bush per le nostre truppe, o il suo amore per il paese e il suo impegno per la sicurezza. Come ho detto, ci sono stati patrioti a favore di questa guerra e altri contro. Ma ci accomuna la riconoscenza per i nostri soldati, e la speranza per il futuro dell’Iraq. La grandezza della nostra democrazia è fondata dalla nostra capacità di superare le nostre differenze, e di imparare dalla nostra esperienza man mano che ci confrontiamo con le molte sfide che ci stanno davanti. E nessuna sfida è più essenziale per la nostra sicurezza che combattere Al Qaida.
Americani di ogni provenienza politica sono stati favorevoli all’uso della forza contro coloro che ci attaccarono l’undici settembre. Oggi, mentre ci avviciniamo al decimo anno di guerra in Afghanistan, ci sono persone che legittimamente si interrogano sulla nostra missione lì. Ma noi non dobbiamo mai perdere di vista quello che c’è in ballo. Mentre stiamo parlando, Al Qaida continua a tramare contro di noi, e la sua leadership rimane ben ancorata nella regione al confine tra Afghanistan e Pakistan. Noi distruggeremo, smantelleremo e sconfiggeremo Al Qaida, e allo stesso tempo faremo in modo che l’Afghanistan non sia più usato come base per i terroristi. E proprio grazie al nostro ritiro dall’Iraq, ora possiamo usare tutte le risorse necessarie per andare avanti in questa offensiva. Infatti, negli ultimi diciannove mesi, quasi una dozzina di leader di Al Qaida – e centinaia dei suoi alleati più estremisti – sono stati uccisi e catturati in giro per il mondo.
In Afghanistan, ho disposto l’impiego di un maggior numero di truppe che sotto il controllo del generale David Petraeus stanno combattendo per spezzare il regime dei Talebani. Come nel caso dell’intervento in Iraq, queste truppe resteranno solo fino a quando la popolazione afghana non sarà pronta e in grado di proteggere il proprio futuro. Ma come nel caso dell’Iraq, non possiamo essere noi a fare per gli afgani quello che loro stessi sono chiamati a fare per sé. Questo è il motivo per cui stiamo addestrando le Forze di Sicurezza Afgane e supportando una risoluzione politica ai problemi del paese. Il prossimo passo, a luglio del 2011, sarà quello di iniziare un progressivo passaggio delle responsabilità agli afgani.
Il ritmo della riduzione delle nostre truppe dipenderà dalle condizioni che si verificheranno sul territorio, e il nostro supporto per l’Afghanistan continuerà. Ma non ne dubitiamo: questa transizione inizierà, perché una guerra infinita non serve né ai nostri interessi né a quelli della popolazione afgana. Infatti, una delle lezioni apprese attraverso i nostri sforzi in Iraq è che l’influenza americana nel mondo non è solo una questione di forza militare. Dobbiamo usare tutti gli elementi del nostro potere – inclusa la diplomazia, la forza economica e il potere dell’esempio americano – per assicurare i nostri interessi e restare a fianco dei nostri alleati. E dobbiamo proiettare una visione del futuro che non sia solo basata sulle nostre paure, ma anche sulle nostre speranze – una visione che riconosce i reali pericoli che esistono nel mondo, ma anche le infinite potenzialità del nostro tempo.
Oggi, vecchi avversari sono in pace, e le democrazie emergenti sono potenziali alleati. Nuovi mercati per i nostri beni si stanno sviluppando dall’Asia alle Americhe. Una nuova spinta per la pace in Medio Oriente inizierà qui domani. Miliardi di persone vogliono superare la loro condizione di povertà e di conflitto. Come leader del mondo libero, l’America non si limiterà a sconfiggere sul campo di battaglia quelli che offrono odio e distruzione, ma guiderà anche quelli che vogliono lavorare insieme per estendere la libertà e le opportunità di tutte le persone. Questo sforzo deve iniziare all’interno dei nostri stessi confini. Nel corso della nostra storia, l’America è stata disponibile ad assumersi l’onere di promuovere la libertà e la dignità umana nel mondo, consapevole del suo forte collegamento con la nostra libertà e sicurezza. Ma abbiamo anche capito che la forza e l’influenza della nostra nazione nel mondo deve essere fortemente ancorata alla nostra prosperità nazionale. E il fondamento di quella prosperità deve essere una classe media in crescita.
Sfortunatamente, nell’ultimo decennio, non abbiamo fatto tutto quello che è necessario per rafforzare le fondamenta della nostra prosperità. Abbiamo speso più di tremila miliardi di dollari nella guerra, spesso finanziata attraverso dei prestiti internazionali. Questo, in cambio, ha rallentato gli investimenti nella nostra popolazione e contribuito a creare deficit da record. Per troppo tempo abbiamo rimandato le decisioni più difficili su tutto, dalla politica energetica alla riforma dell’educazione. Come risultato, troppe famiglie della classe media si trovano oggi a lavorare di più per meno, mentre la competitività della nostra nazione nel lungo periodo è a rischio. E quindi in questo momento, mentre chiudiamo la guerra in Iraq, dobbiamo affrontare queste sfide del nostro paese con la stessa energia, e con lo stesso coraggio e senso di condivisione di un obiettivo comune dei nostri uomini e donne che in uniforme si sono impegnati all’estero. Loro hanno superato ogni singolo test che hanno affrontato. Ora tocca a noi.
Adesso, è nostra responsabilità onorarli restando uniti, tutti insieme, e lavorando per assicurare quel sogno per cui così tante generazioni hanno lottato – il sogno che una vita migliore aspetta chiunque sia disponibile a lavorare per raggiungerla. Il nostro compito più urgente è quello di ripristinare la nostra economia e rimettere a lavoro i milioni di americani che hanno perso il loro impiego. Per rafforzare la classe media, dobbiamo dare ai nostri figli l’educazione di cui hanno bisogno e ai nostri lavoratori gli strumenti per competere nell’economia globale. Dobbiamo avviare industrie che creano posti di lavoro e mettere fine alla nostra dipendenza dal petrolio proveniente dall’estero. Dobbiamo scatenare quell’innovazione che permette a nuovi prodotti di uscire dalle nostre catene di montaggio, e nutrire le idee che nascono dai nostri imprenditori. Sarà difficile. Ma nei giorni che verranno, dovrà essere la nostra missione principale come popolo, e la mia responsabilità centrale come Presidente.
Parte di questa responsabilità è assicurare che riusciremo a onorare i nostri impegni verso quelli che hanno servito questo paese con tanto valore. Finché sarò Presidente, continueremo ad avere il miglior esercito che il mondo abbia mai conosciuto, e continueremo a fare tutto quello di cui c’è bisogno per servire i nostri veterani, come loro hanno servito noi. Questa fiducia è sacra. Per questo motivo abbiamo già effettuato uno dei maggiori aumenti degli ultimi decenni nei fondi destinati ai veterani. Stiamo curando le ferite dello stress causato dalla guerra e dei danni traumatici subiti a livello cerebrale, e allo stesso tempo stiamo assicurando a tutti i veterani l’assistenza sanitaria e i benefit che si sono guadagnati. E stiamo finanziando un progetto di legge che aiuterà i nostri veterani e le loro famiglie a rendere possibile il sogno di una educazione universitaria. Come il GI Bill aiutò quelli che avevano combattuto durante la seconda guerra mondiale – compreso mio nonno – a diventare la spina dorsale della nostra middle class, così oggi i nostri soldati devono avere la possibilità di usare i loro talenti per sviluppare l’economia americana. Perché mettere fine a una guerra responsabilmente significa anche stare a fianco di quelli che l’hanno combattuta.
Due settimane fa, l’ultima brigata da combattimento in Iraq – la Quarta Brigata dell’Esercito – ha iniziato il suo viaggio verso casa nel buio che precede l’alba. Centinaia di soldati e dozzine di veicoli sono partiti da Baghdad e hanno attraversato il Kuwait nelle prime ore della mattina. Più di sette anni prima, le truppe americane e quelle degli alleati avevano combattuto su strade simili a quelle, ma stavolta nessun colpo è stato sparato. Era un convoglio di americani coraggiosi, che stavano tornando a casa. Certamente i soldati hanno lasciato molto alle loro spalle. Alcuni erano teenager quando la guerra è iniziata. Molti hanno prestato servizio più volte, lontano dalle loro famiglie che hanno portato un carico eroico, sopportando l’assenza dell’abbraccio di un marito o del bacio di una madre.
Più dolorosamente, da quando la guerra è iniziata, 55 membri della Quarta Brigata dell’Esercito hanno compiuto l’ultimo sacrificio – diventando parte degli oltre 4.400 americani che hanno dato la loro vita in Iraq. Come ha detto un sergente, «So che per i miei fratelli che hanno combattuto e sono morti che questo giorno sarebbe stato molto importante». Quegli americani hanno dato le loro vite per i valori che hanno vissuto nel cuore del nostro popolo per oltre due secoli. Non hanno servito e combattuto solo per oltre un milione e mezzo di americani ma anche per persone che non avevano mai conosciuto prima, in un paese molto lontano. Hanno potuto guardare nella più buia di tutte le invenzioni dell’uomo – la guerra – e hanno aiutato gli iracheni a trovare la luce della pace. In un’epoca senza cerimoniali di resa, dobbiamo conquistarci la vittoria attraverso il successo dei nostri alleati e la forza della nostra nazione.
Ogni americano che presta servizio nell’esercito è collegato alla lunga linea di eroi che va da Lexington a Gettysburg, da Iwo Jima a Inchon, da Khe Sanh a Kandahar – americani che hanno combattuto per fare in modo che le vite dei nostri figli potessero essere migliori delle nostre. Le nostre truppe sono l’acciaio della nostra nave. E anche se la nostra nave sta navigando in acque difficili, ci danno fiducia che il nostro cammino è quello giusto, e che oltre il buio che precede l’alba ci aspettano giorni migliori. Grazie. Dio vi benedica. E Dio benedica gli Stati Uniti d’America, e tutti quelli che li servono.