È morto Laurent Fignon
Nella primavera scorsa, a non ancora cinquant'anni, aveva scoperto di avere un cancro ai polmoni e all'apparato digerente
di Giovanni Fontana
Ogni sport ha il suo professore, nel calcio era Franco Scoglio, nell’automobilismo Alain Prost – il ciclismo aveva Laurent Fignon. Non che Fignon avesse una condotta di corsa particolarmente ragionata, anzi, quando c’era da attaccare non se lo faceva dire due volte; ma correva con gli occhiali per una forte miopia e tanto bastava. Aveva un cancro ai polmoni, scoperto nella primavera scorsa, ed è morto oggi.
Passato professionista all’inizio degli anni ’80, cominciò a distinguersi non soltanto per gli occhialetti rotondi, ma anche per quella coda di cavallo che negli ultimi anni della sua carriera era andata via via scomparendo. Qualcuno disse che fu proprio per quella treccia, così poco aerodinamica, che perse il Tour de France del 1989 per otto secondi – tutt’ora il più piccolo distacco con cui è stato vinto, o perso, un Tour – da Greg LeMond, che nella cronometro finale indossò un caschetto affusolato, come poi cominciarono a fare tutti i corridori.
Era appunto dell’ultima generazione prima dell’avvento del ciclismo tecnologico, ma anche di quello della sfrenata specializzazione: nei suoi dodici anni di carriera vinse anche diverse classiche, due Milano-Sanremo e una Freccia Vallone, su tutte. Il meglio, però, lo dava nelle grandi corse a tappe: assieme a Bernard Hinault è stato l’ultimo corridore francese con un talento puro, ma con un carattere molto più impulsivo del metodico Hinault. Fignon è tutt’ora l’ultimo francese ad aver vinto il Giro d’Italia, nell’89. Ne meritava un altro, quello del 1984, che un percorso particolarmente favorevole – assieme ad alcune opinabili decisioni dei giudici di gara – regalarono al tenace e ostinato Francesco Moser.
Dopo la disfatta dell’89 non riuscì più ad andare forte, e pochi anni dopo si ritirò. Diventò commentatore per la TV francese, conservando la schiettezza che l’aveva contraddistinto negli anni delle corse, che gli valse qualche antipatia e la nomea di criticone. Quest’anno, già malato, aveva commentato il Tour – probabilmente sapendo che sarebbe stato il suo ultimo – con già i sintomi della chemioterapia e la voce mutata. Qualche mese prima aveva pubblicato la propria autobiografia: Eravamo giovani e incoscienti.