Oliver Sacks e la prosopagnosia
Il New Yorker anticipa il saggio del famoso neurologo dedicato alla malattia di chi non riconosce i volti
di Emanuele Menietti – @emenietti
Quando nel 1985 pubblicò il saggio L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, il neurologo Oliver Sacks divenne famoso per il suo modo di raccontare in forma divulgativa le sue esperienze cliniche con pazienti affetti da diverse lesioni cerebrali, che causavano comportamenti bizzarri e talvolta misteriosi. Da allora Sacks ha scritto numerosi altri saggi – due anni fa ebbe un grande successo mondiale il suo Musicofilia – concentrandosi principalmente sulle difficoltà che hanno alcune persone nel riconoscere i volti e i luoghi. Patologie che nelle forme più gravi impediscono a chi ne è affetto di condurre una vita normale, con esiti a volte tragicomici.
Sul numero di questa settimana del New Yorker, Sacks spiega perché alcune persone non ce la fanno proprio a riconoscere gli individui che si ritrovano davanti, anche se li conoscono da anni. Per farlo, il celebre neurologo parte dalle proprie esperienze personali, raccontando alcuni aneddoti ispirati anche alle testimonianze dei suoi pazienti e contenuti nel libro The Mind’s Eye in pubblicazione in ottobre.
All’età di settantasette anni, nonostante abbia passato una vita a cercare di compensare, continuo ad avere problemi con le facce e i luoghi. Resto particolarmente disorientato se vedo le persone fuori da un dato contesto, anche se ci sono stato insieme fino a cinque minuti prima di lasciarle. Mi è capitato una mattina subito dopo un appuntamento con il mio psichiatra. (Lo vedo un paio di volte la settimana da alcuni anni.) Pochi minuti dopo aver lasciato il suo studio, ho incrociato un uomo vestito sobriamente che mi ha salutato all’entrata dell’edificio. Mi sono chiesto come fosse possibile che quello sconosciuto mi conoscesse, fino a quando il portiere non lo ha salutato chiamandolo per nome: era, ovviamente, il mio analista. (L’incapacità di riconoscerlo è saltata fuori nella nostra seduta successiva; non credo mi abbia creduto fino in fondo quando gli ho spiegato che l’episodio aveva avuto a che fare con un problema neurologico e non con una cosa psichiatrica.)
Qualcosa di simile, racconta il neurologo, capitò con Kate quando era ormai la sua assistente da sei anni. Sacks era andato dal suo editore per parlare di un suo nuovo libro. Entrò nell’ufficio, si presentò alla segretaria, ma non si accorse che Kate lo stava già aspettando in una saletta d’attesa. Sacks vide una giovane donna seduta nella stanza, ma non si accorse che si trattava della sua assistente fino a quando Kate non attirò la sua attenzione parlandogli. E anche allo specchio le cose non vanno meglio:
Il mio problema nel non riconoscere le facce non interessa solamente le persone che conosco o cui voglio particolarmente bene, succede anche con me stesso. A volte è capitato che mi sia scusato per essere andato a sbattere contro un uomo barbuto, realizzando solo poco dopo che quel grande uomo con la barba ero io riflesso in uno specchio.
Sacks si rese definitivamente conto che qualcosa non andava quando decise di andare in Australia per incontrare Marcus, uno dei suoi fratelli, che aveva visto molto di rado negli ultimi 35 anni. Il neurologo notò che il fratello aveva un disturbo simile al suo e giunse così alla conclusione di avere in comune con Marcus una malattia congenita, la prosopagnosia. In greco, prosopon significa “faccia”, mentre agnosia “non conoscenza”. La patologia può essere congenita o acquisita ed è dovuta a un deficit cognitivo del sistema nervoso centrale che impedisce a chi ne è colpito di riconoscere correttamente i volti delle persone: «Una persona con una forma grave di prosopagnosia può non essere in grado di riconoscere la propria sposa o il proprio figlio in un gruppo di persone». Malfunzionamenti simili possono anche impedire di riconoscere i luoghi o gli oggetti che ci circondano ogni giorno.
Nel 1985 – scrive Sacks sul New Yorker – ho pubblicato un caso di studio chiamato “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” su un tale Dr. P. che aveva una forma grave di agnosia visuale. Non era in grado di riconoscere le facce o le loro espressioni. Inoltre, non poteva identificare, e nemmeno categorizzare, gli oggetti; dunque non riconosceva un guanto, non sapeva identificarlo come un articolo di abbigliamento e nemmeno rendersi conto che ricordava la forma di una mano. Dopo la pubblicazione della storia del Dr. P., ho iniziato a ricevere lettere da persone che volevano confrontare le loro difficoltà nel riconoscere i volti e i luoghi con le sue.
Sacks scoprì che il problema della prosopagnosia era più comune di quanto immaginasse, in tutto il mondo. Decise di approfondire i propri studi per capire quali tecniche di compensazione mettano in atto gli individui che sono affetti dalla patologia. Riconoscere le persone dal loro volto è fondamentale per gli esseri umani e la gran parte degli individui riesce a distinguere e a identificare migliaia di visi diversi, cui associa poi un nome, un’identità e altre informazioni che ha raccolto nel corso del tempo. Quella del riconoscimento dei volti è una capacità sostanzialmente innata, è universale e interessa anche altre specie animali come quelle dei primati.
Chi soffre di prosopagnosia cerca di compensare questa mancanza con alcune piccole strategie, solitamente legate al ricordo di alcuni dettagli. Un naso particolarmente grosso, una barba folta, un certo modo di vestire o la presenza di occhiali sono particolari che possono aiutare a riconoscere Tizio da Caio. Altri riconoscono le persone dalla voce, dalla loro postura e andatura o dal contesto in cui si trovano. Questo processo di riconoscimento per vie alternative è spesso del tutto inconscio, così le persone affette da lievi forme di prosopagnosia passano magari la loro intera vita senza sapere di avere un deficit cognitivo.
Per arrivare a comprendere caratteristiche e cause della prosopagnosia ci vollero molti anni. Nei primi anni Sessanta dell’Ottocento, Paul Broca condusse diverse autopsie su pazienti affetti da afasia, un disturbo della comprensione e della produzione del linguaggio, notando in tutti i casi alcune malformazioni nella parte frontale dell’emisfero sinistro del cervello. Nel 1865 lo scienziato concluse che «Parliamo usando l’emisfero sinistro», aprendo così la strada alla concezione della divisione in aree del cervello, ognuna con una precisa funzione anche sul fronte cognitivo. Negli anni seguenti altri ricercatori scoprirono così i centri della parola e quelli della parola legati alla visione.
Nel 1947 il neurologo tedesco Joachim Bodamer descrisse per la prima volta la condizione di tre pazienti in grado di riconoscere tutto ciò che li circondava, tranne i volti umani. Bodamer coniò il termine “prosopagnosia” per definire questo disturbo e giunse alla conclusione che nel cervello esistesse un’area deputata al riconoscimento facciale. Una conclusione discussa ancora oggi tra chi la sostiene e chi invece pensa che i processi per riconoscere i volti siano gestiti da un’area che si occupa in generale del riconoscimento visuale, ovvero di tutto ciò che ci circonda.
Una ricerca scientifica del 1955 del neurologo inglese Christopher Pallis, con magnifici dettagli e documentazione, portò alla luce il problema. A. H., uno dei pazienti di Pallis, era un ingegnere minerario in una miniera di carbone nel Galles che aveva tenuto un diario ed aveva così fornito a Pallis una descrizione molto articolata e approfondita delle proprie esperienze. Una notte nel giugno del 1953 A. H. ebbe un infarto. «Si sentì improvvisamente male dopo un paio di drink al club». Era in stato confusionale e fu portato a casa a letto, dove dormì poco. Il giorno seguente, scoprì un mondo completamente cambiato, come spiegò a Pallis: «Sono sceso dal letto. La mia mente era fresca ma non potevo riconoscere la stanza. Sono andato in bagno. Ho avuto difficoltà a trovare la strada e a riconoscere l’ambiente. Quando sono tornato indietro per ritornare a letto, non riconoscevo più la stanza, che mi appariva come un luogo sconosciuto. […] Non potevo riconoscere la differenza tra mia moglie e le mie figlie. Poi ho dovuto aspettare che mia moglie o mia madre parlassero per poterle distinguere. Mia madre ha 80 anni. Vedo gli occhi, il naso e la bocca abbastanza chiaramente, ma non mi portano a nulla.
La testimonianza raccolta da Pallis dimostrò che in alcuni casi la prosopagnosia può essere scatenata da un evento fisico traumatico, come un infarto, e dunque non essere presente fin dalla nascita, anche se si tratta di casi estremamente rari. Questo dettaglio consentì ai ricercatori di approfondire i loro studi concentrandosi sugli aspetti neurologici e l’evoluzione dei sistemi diagnostici negli anni seguenti, come l’introduzione della TAC e della risonanza magnetica, permise di identificare la base del problema. La prosopagnosia è generalmente causata da un danno al “giro fusiforme”, una porzione del cervello nella giunzione temporo-occipitale.
La capacità di riconoscere le persone dai volti si manifesta, negli esseri umani, nei primi mesi di vita. I neonati sono anche in grado di riconoscere gli animali di altre specie, come il volto dei primati, ma questa capacità scompare rapidamente e verso i tre mesi si specializza nel riconoscimento delle facce cui sono quotidianamente esposti. Per questo motivo un cinese vede tutti gli occidentali simili tra loro, mentre nel nostro caso siamo noi a vederli tutti simili e difficili da riconoscere uno dall’altro. Secondo i ricercatori, la capacità di riconoscere i volti è una qualità innata, ereditaria e destinata a specializzarsi nei primi due anni di vita. Le cellule preposte a questo compito nel nostro cervello hanno bisogno di un buon allenamento per svilupparsi completamente. Si pensa che queste cellule siano adiacenti a quelle del riconoscimento delle altre cose che ci stanno intorno: alcuni test hanno dimostrato che le medesime aree del cervello per riconoscere i volti si attivano quando, per esempio, un esperto di auto deve distinguere diversi modelli di automobile.
Il riconoscimento delle persone è complesso anche per un altro motivo, spiega sempre Sacks:
Il riconoscimento è basato sulla conoscenza, mentre l’avere familiarità è basato sulle sensazioni, ma una cosa non implica l’altra. Queste due caratteristiche hanno basi neurologiche differenti e possono essere dissociate; sono entrambe perse in chi soffre di prosopagnosia, così un individuo può avere familiarità con qualcuno ma non può riconoscerlo, oppure è in grado di riconoscere chi ha davanti ma non riesce ad avere familiarità. Nel primo caso possono avvenire dei déjà-vu o casi di “iperfamiliarità” […]. Un paziente può così trovare visi familiari in tutti quelli che si trovano per strada o su un autobus: probabilmente si avvicina anche a queste persone e le tratta come vecchi amici, anche se magari nel frattempo si rende conto di non poterle conoscere.
I casi gravi di prosopagnosia interessano il 2,5% della popolazione, solo negli Stati Uniti si tratta di almeno sette milioni di persone. A queste va aggiunto un 10% della popolazione che è sensibilmente al di sotto della media nella capacità di riconoscere i volti delle persone. Nonostante sia studiata da anni, la patologia è poco conosciuta, non viene sempre diagnosticata e in molti faticano a comprendere quanto possa essere difficile da gestire per chi ne è affetto. Online esistono gruppi di supporto e forum per chi soffre di prosopagnosia, Ken Nakayama offre consulenze e sostegno attraverso il suo faceblind.org e invita tutti a dare una mano: quando ci incontriamo da qualche parte, ditemi il vostro nome. Semplice.