PD: primarie nei collegi per battere il Porcellum?
La proposta fatta propria dall'Unità comincia ad agitare il dibattito elettorale a sinistra e mette alle strette il segretario
Le strade che hanno portato all’improvviso e intenso impegno dell’Unità perché il Partito Democratico faccia le primarie nei collegi elettorali sono due. Una è l’accelerazione dell’eventualità che si arrivi ad elezioni anticipate: accelerazione che in realtà si è già impaludata in uno stato permanente di “eventualità”, ma la ripresa di settembre potrebbe cambiare le cose. L’altra è l’annosa questione del superamento della legge elettorale, la “porcata” per definizione del suo stesso promotore Calderoli, che tra gli altri difetti ha quello di impedire agli elettori una reale scelta, imponendo il voto per liste già composte dalle segreterie dai partiti, che di fatto scelgono chi abbia chances di entrare in parlamento.
E mentre si rinnova, come al solito solo nell’emergenza, la discussione sulla possibilità di cambiare la legge elettorale, da qualche settimana circolava all’interno del PD – ne aveva scritto sul Post Pippo Civati – la proposta di aggirare questa limitazione antidemocratica contenuta nella legge attraverso delle primarie che restituissero agli elettori la scelta sui candidati da votare. Quella proposta è stata fatta propria tre giorni fa da Concita De Gregorio, sull’Unità, all’interno di un lungo editoriale su altri temi, ma ha rapidamente trovato consensi tra i lettori del giornale e i militanti del PD assetati di coinvolgimento e di impegno concreto. E così da due giorni l’Unità dedica la sua prima pagina e molto impegno nel raccogliere adesioni e rilanciare con insistenza lo slogan: primarie nei collegi.
Adesso cominciano ad arrivare le prime reazioni. Sul Corriere della Sera di oggi un macchinoso editoriale di Maria Teresa Meli bolla la proposta come “ritorno al vecchio”, attribuendole limiti che dipendono piuttosto della recente pretesa ulivista del segretario Bersani.
Per carità, in via teorica il ragionamento non fa una grinza. E, non a caso, riceve il plauso di iscritti e simpatizzanti. Ma in pratica? Lasciamo per una volta da parte l’argomento principe contro questa proposta. Ossia che, non essendo regolate per legge, le primarie, in Italia, hanno il sapore di una brutta copia dello stesso tipo di consultazioni che in altri Paesi hanno una loro consolidata tradizione. Se si prende il problema da un diverso punto di vista, i dubbi, però, rimangono. Anzi, si moltiplicano. Pier Luigi Bersani ha dichiarato di voler costruire un «Nuovo Ulivo» e ha annunciato di aver già contattato le forze interessate a questa proposta. Ora, a prescindere dalla domanda, legittima ma fuori tema, che ci si può porre a questo proposito — il Pd non era forse nato per essere il «Nuovo Ulivo»? — come si concilia l’ipotesi del segretario con la proposta dell’Unità?
Se si mette in piedi una nuova alleanza, il Partito democratico non può fare le primarie per conto proprio. Dovrebbe indirle insieme agli altri componenti dello schieramento. I quali, non sia detto per inciso, raccolgono un numero di consensi assai minore di quello del Pd. Perciò il rischio sarebbe quello di ripetere una pratica in voga all’epoca del «Mattarellum». Quando ai cespugli dell’Ulivo i voti venivano dati per gentile concessione del Pds. Circoscrizione percircos crizione, il partito maggiore decideva chi eleggere tra gli alleati minori, dopo una serie di non propriamente edificanti trattative. E così agli elettori dell’Emilia Romagna capitava di dover scegliere, per esempio, il romanissimo Paolo Cento. Non proprio un «Porcellum», ma quasi.
Ma sulla stessa Unità – che stamattina dedica alla proposta una prima pagina con Bobo di Staino raggiante che dice “Finalmente!” – oggi si registra una risposta a denti stretti del segretario del PD Bersani (mai un fan delle primarie), che evita di fare promesse, si sottrae ad aderire alla proposta e sostiene che la via maestra sia una nuova legge elettorale, ma è costretto a prendere atto della “volontà popolare”.
«È la dimostrazione che c’è grande voglia di partecipazione». Reagisce così il segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani, che incontriamo in un albergo del centro di Torino quando sta per andare a Piazza Castello per il discorso d’apertura della Festa nazionale del Pd, alla notizia della straordinaria adesione dei lettori all’appello de l’Unità . L’idea delle primarie ovunque, come strumento per rimediare ai danni del “porcellum”, era stata prospettata da lui stesso in una serie di occasioni. «Ma questo entusiasmo – aggiunge – deve e può aiutarci a cambiare l’attuale legge elettorale». È questo il principale obiettivo del Partito democratico. «In questa fase – prosegue Bersani – non possiamo rassegnarci, non possiamo accontentarci di dare l’esempio. In gioco c’è il destino del paese, non è solo questione di quanto sia a posto il Pd. Il nostro è il partito della partecipazione, lo abbiamo dimostrato ogni qualvolta abbiamo fatto ricorso alle primarie per le scelte più importanti. Ora però dobbiamo concentrarci per cambiare la legge elettorale. Perché se anche il solo Berlusconi riesce a nominare i suoi parlamentari, non è che l’Italia starà meglio. Anzi«. Il ragionamento del il leader del Pd è che la «porcata» di Roberto Calderoli gioca una parte non secondaria nell’attuale opera di delegittimazione del Parlamento. Solo con deputati e senatori della maggioranza “nominati” dai vertici di partito o addirittura da “uno solo”, dice Bersani, Camera e Senato possono essere impunemente trasformati in “votifici” dove la discussione è bandita, il confronto democratico annullato e il dissenso messo a tacere con il continuo ricorso al voto di fiducia. Per questo la battaglia per cambiare la legge elettorale è considerata “prioritaria”. Il problema del che fare se il “porcellum” dovesse restare è però presente. Perché, viste le condizioni della maggioranza, la situazione politica potrebbe precipitare e, quindi, potrebbe mancare il tempo materiale per la riforma della legge. In questo caso, assicura il segretario del Pd, il Partito democratico farà le sue scelte «ricorrendo ai più ampi meccanismi di partecipazione». «I nostri parlamentari – conclude – non saranno nominati».