L’ora delle startup brasiliane
Time racconta la generazione di giovani imprenditori figlia del successo economico brasiliano
Una volta, quando un venti-trentenne brasiliano telefonava a un investitore o a un capitalista di ventura per chiedere un finanziamento, la risposta era sempre la stessa: “Di dove hai detto che sei?”. Oggi le cose sono molto cambiate, racconta Time, e il gran dinamismo delle startup brasiliane – le imprese appena costituite, spesso basate su servizi forniti via internet – rappresenta un’importante fetta del successo economico del Brasile.
Prendete Marcelo Marzola, per esempio. Ha trentatré anni e la sua azienda produce uno strumento, BTBuckets, che consente di tracciare i movimenti dei visitatori di una pagina web così da ottimizzare la sua costruzione e il posizionamento degli oggetti e della pubblicità. Lo hanno invitato a presentarlo a una conferenza organizzata da Google a San Francisco: il sogno di ogni sviluppatore. Il suo strumento non è più una sorpresa, e il suo utilizzo si è trasformato in una specie di tecnica standard. Vi fanno ricorso Motorola e Unilever, tra gli altri, insieme a duemila siti in novanta paesi diversi. I capitalisti di ventura ci si sono fiondati, e a ragione: l’azienda di Marzola dal 2005 a oggi ha prodotto utili per 12 milioni di dollari. Lui aveva cominciato tutto con 80 mila. C’entra che lui è bravo, certo. Ma c’entra anche che è brasiliano.
“Dieci anni fa, quando ho cominciato a lavorare in questo settore, avere dei soldi per cominciare era impossibile. Chiamai qualcosa come venti banche, capitalisti di ventura, fondi privati, e tutti mi dicevano no. Nessuno voleva correre il rischio di investire in qualcuno alle prime armi. Oggi finalmente ci sono segni di interesse”
Time scrive che la cultura del capitalismo di ventura, dell’investire denaro in diverse piccole imprese nella speranza che anche una sola di queste raggiunga risultati e successi, necessita di un cambio di mentalità, oltre che delle giuste condizioni economiche. E che però niente come delle favorevoli condizioni economiche possono rendere ideale l’ambiente per il cambio di mentalità, dando sicurezza e fiducia agli imprenditori. In Brasile sta accadendo questo. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che quest’anno l’economia brasiliana – già l’ottava al mondo – crescerà del sette per cento, e così fino alla fine del decennio. Le ragioni sono molte: l’abbondanza di risorse naturali, un governo stabile, un evoluto settore bancario e una classe media che sta crescendo per dimensioni e benessere.
Un altro catalizzatore importante è stato l’aver concentrato risorse allo sviluppo di tecnologie di livello mondiale in diversi settori, dall’industria aerospaziale all’agricoltura, dall’energia all’information technology, dai semiconduttori alle telecomunicazioni. Niente di tutto questo è accaduto per caso. Il governo sta investendo pesantemente in programmi radicali e innovativi: ogni anno l’uno per cento del prodotto interno lordo è speso in ricerca e sviluppo. Oggi 15 brasiliani su 100 sono coinvolti in una startup.
“Negli ultimi cinque anni, diversi laureati si sono affezionati all’idea di poter lavorare in una loro azienda”, dice Michael Nicklas, un investitore che ha finanziato diversi progetti in Brasile. “C’è un sacco di talento nel settore tecnologico: questo paese ha una delle comunità più esperte del mondo in quanto a Java e linguaggi opensource. Internet ha abbattuto i costi richiesti per avviare un’impresa, e questo ha dato a un sacco di persone l’opportunità di mettersi in gioco”
Nicklas ha girato il Brasile per tre anni, cercando dove investire i suoi soldi. È stato impressionato dall’utilizzo dei social media nel Paese, e questo lo ha guidato nelle sue scelte. Ha finanziato Compra3, un’azienda che ha sviluppato un sistema che fornisce sconti e bonus in denaro agli utenti che recensiscono merci e prodotti. Oggi Compra3 è partner di Walmart e di altri 18 distributiori nell’America latina. Senza di lui, i fondatori di Compra3 non ce l’avrebbero fatta: Nicklas è il ponte tra le loro aspirazioni e il denaro in grado di realizzarle.
Il meccanismo non funziona ancora alla perfezione. Ci sono inefficienze burocratiche e barriere per l’accesso delle aziende medio piccole. È difficile muoversi senza una buona conoscenza del mercato interno e della sua regolazione. Inoltre sono ancora i primi tempi: manca l’esperienza da parte dei piccoli imprenditori a lavorare e ragionare in collaborazione con banche e grossi uomini d’affari. Per questo molte società investono grosse somme in formazione. Rimane il problema delle tasse sulle imprese, che in Brasile sono tra le più alte al mondo, e quello di alcune leggi sul lavoro, arcaiche e obsolete. Per queste ragioni quelli che ce la fanno sono molti rispetto al passato e al resto del mondo, ma pochissimo rispetto a quanti sono quelli che ci provano.
“Devi essere veramente bravo per vincere in questo mercato”, dice un investitore, “questo è darwinismo economico all’ennesima potenza”. “In Brasile”, dice un altro, “devi avere un modello per la creazione di utili fin dal principio. Negli Stati Uniti puoi lavorare due anni senza guadagnare niente. Qui gli investitori non sono disposti ad aspettare per vedere se la tua azienda può produrre utili o no. Non possiamo permetterci questo lusso”
Ma anche queste cose stanno cambiando in fretta, scrive Time. Sempre più investitori vogliono diversificare le loro operazioni, e il Brasile è al centro di queste operazioni. Per il secondo anno consecutivo il Brasile è stato il secondo paese – dopo la Cina – per quantità di denaro investito dall’estero. E la tendenza si è invertita: il mercato in Asia inizia a saturarsi, mentre in Brasile siamo soltanto all’inizio. Per fare il salto decisivo serve che una di queste società emergenti decida di quotarsi in borsa, e che lo faccia con ottimi risultati: gli investimenti in Brasile esploderebbero. Molti sperano che questo possa accadere nell’arco dei prossimi due anni.
(foto: Time)