In Venezuela si muore più che in Iraq
Nel corso del 2009 ci sono stati più di 16 mila omicidi, e la capitale venezuelana è una delle città più pericolose al mondo
Lo sapete che in Venezuela si muore più che in Iraq? Il New York Times racconta che è questa l’amara battuta che si sente dire in giro a Caracas: e i numeri non dànno torto.
I due Paesi hanno una popolazione pressoché identica: in Venezuela ci sono 28 milioni di abitanti, in Iraq 27. Eppure secondo l’Iraq Body Count – una fonte che non può certo essere accusata d’ indulgenza nei confronti dell’invasione americana – i morti per causa violenta in Iraq nell’arco del 2009 sono stati 4644. In Venezuela il numero di omicidi ha superato i 16 mila, una cifra enorme: perfino la nota guerra della droga in Messico fa meno vittime. In Venezuela queste statistiche sono di pubblico dominio, e i venezuelani si sforzano di conviverci: c’è chi ha contornato il terreno della propria casa con delle mura o ha assunto degli esperti sulla sicurezza dall’estero per sfuggire a rapimenti e omicidi, e l’opposizione ha sempre accusato il governo di ignorare il problema.
In queste settimane, però, il dibattito si è intensificato a causa di una foto che mostra dodici cadaveri pubblicata in prima pagina dal National, un giornale indipendente venezuelano, e dalla successiva reazione del governo: valutando l’immagine come troppo cruenta, una corte ha ordinato al giornale di non pubblicare più nessuna immagine che raffiguri violenze, decisione che gli editori indipendenti hanno criticato aspramente accusando il potere politico di voler mettere lo sporco sotto al tappeto. Le autorità hanno poi minacciato un’inchiesta anche a proposito di Rotten Town, un video di un cantante reggae venezuelano in cui un bambino viene ucciso da un proiettile vagante: nonostante le proteste del governo, il filmato si è diffuso rapidamente su internet.
Dalla salita al potere di Hugo Chávez nel 1999 gli omicidi sono stati quasi 120 mila, e il numero sembra in ascesa, visto che soltanto negli ultimi tre anni sono state uccise 43.792 persone, dando a Caracas la poco invidiabile palma di città americana con più morti per cause violente: nella capitale venezuelana ci sono 200 uccisioni ogni 200 mila abitanti, a Bogotà – la capitale colombiana – sono quasi un decimo. Sebbene dal 1998 il tasso di omicidi sia continuato a crescere, l’aumento registrato lo scorso anno non ha precedenti.
Le ragioni sono molteplici, intanto un’economia in forte regressione – una delle poche dell’America Latina – con un gap fra ricchi e poveri che continua a crescere. Gli stipendi per la polizia sono bassi, e questo demotiva gli agenti nell’affrontare i pericoli della lotta al crimine. L’inflazione su base annuale è la più alta dell’emisfero, portando alcune persone a sopperire alla perdita di valore dei propri salari affiancando attività criminogene al proprio lavoro regolare. E il paese è letteralmente inondato di armi illegali: l’articolo del Nacional parlava addirittura di 15 milioni.
Molti analisti, però, fanno notare un altro fattore riconducibile proprio all’azione di governo di Chávez: il sistema giudiziario è sempre più politicizzato, minando così l’indipendenza delle valutazioni. Lo spoil system adottato dal governo in carica ha portato moltissimi impiegati pubblici a lasciare il lavoro o addirittura il Paese. Il governo, tuttavia, sta cercando di rispondere all’emergenza: ha creato la Polizia Nazionale Bolivariana, dedita alla repressione di questo tipo di crimini violenti; inoltre ha fondato un’università sperimentale – per l’addestramento dei poliziotti – dedicata proprio alla sicurezza, assumendo consulenti da paesi amici come Cuba e Nicaragua, dove il tasso di crimine è storicamente molto basso per la media del Sud America.