Teniamo agli squali
Nella città semiautonoma si sta affermando un movimento che vuole rinunciare all'antica tradizione della pinna di squalo
Le pinne di squalo, che in Italia suonano come uno degli ingredienti che una strega metterebbe nel proprio calderone, in Oriente sono considerate un piatto molto pregiato. Vengono mangiate nei giorni di festa, e fatte pagare profumatamente: una ciotola di zuppa di pinne di squalo costa fra i dieci e i 150 dollari, e servire la pietanza è considerato un esoso status symbol.
Non che le pinne di squalo abbiano un sapore speciale, dicono quelli che le hanno provate: ma vengono condite con tanti di quegli ingredienti che diventano buone e saporite, e poi sono – specialmente in Cina – uno dei fulcri della cucina tradizionale, che ne ha sempre tramandato le presunte qualità benefiche che eserciterebbe sulla pelle, sulla prestanza sessuale, sull’energia corporea e nel prevenire malattie al cuore. Per questa ragione, ogni anno, vengono uccisi 73 milioni di squali e – a causa dell’intensa pesca – un terzo delle specie di squali d’oceano è a rischio d’estinzione.
Ultimamente, però, a Hong Kong si è cominciato ad affermare un movimento che vede di buon occhio la rinuncia al consumo delle pinne: lo racconta l’Associated Press. Molto di questo ha a che fare con la maggiore informazione, con tanto di video su Youtube, del trattamento che viene riservato agli squali prima di essere portati in cucina.
In 182 scuole è stata diffusa la campagna Sharks We Care, teniamo agli squali, in cui gli istituti si sono impegnati a non servire ai loro studenti alimenti a base di squalo. Anche diversi ristoranti hanno cominciato a togliere dal proprio menù le pinne suscitando fra i clienti reazioni di entrambi i segni: c’è chi fa riferimento all’inviolabilità della tradizione – «è come togliere le salsicce dai ristoranti tedeschi!» – ma, specie fra i più giovani, il cambiamento sta trovando un consenso piuttosto diffuso.