I dieci leader più rispettati al mondo
Newsweek stila la lista dei politici che in modo o nell'altro si sono guadagnati stima fuori dai confini dei loro paesi
Tranquilli, Berlusconi non c’è. Neanche Obama, però. Sono i dieci leader più rispettati al mondo, secondo Newsweek.
L’ambizioso nuovo arrivato: David Cameron – Regno Unito
È il più giovane primo ministro che il Regno Unito abbia eletto negli ultimi cent’anni e si è trovato a fronteggiare una situazione tutt’altro che facile: una guerra impopolare, un’economia fragile e una nazione stufa di una politica che nell’ultimo periodo aveva generato praticamente solo scandali. Invece la sua drastica manovra economica ha rassicurato i mercati e il suo consenso è salito fino quasi a raggiungere il 50%, cosa rara oltremanica. In più, Cameron ha guadagnato il rispetto dei suoi pari grado in Europa, cosa piuttosto difficile per un conservatore britannico. Intendiamoci, conservatore per modo di dire: se si confrontano le sue posizioni con la politica nostrana – sui diritti degli omosessuali, per fare un esempio – è più a sinistra dell’intero arco parlamentare italiano.
Il guru degli ambientalisti: Mohamed Nasheed – Maldive
Sarà per necessità, perché amministra un’isola che rischia di essere inghiottita dal mare, però Mohamed Nasheed è diventato un’eroe fra gli ambientalisti. Per mettere in guardia il mondo dal destino che potrebbe toccare alle Maldive – e a tante isole simili – alla recente conferenza di Copenhagen sul riscaldamento globale ha tenuto un incontro con i suoi ministri sott’acqua. Poi ha promesso di fare delle Maldive il primo Stato a impatto zero. Al Gore – uno che delle politiche ambientali ha fatto la sua battaglia – lo cita spesso, e ad aprile le Nazioni Unite hanno eletto Naseed uno dei sei “Paladini della Terra del 2010”.
L’amato-all’estero-e-odiato-a-casa: Nicolas Sarkozy – Francia
Effettivamente Sarkozy non gode di un’ottima reputazione, in patria: la disoccupazione supera il dieci percento, l’economia va male e varie controversie hanno agitato il suo governo. Ma fuori di casa, appena arriva su un palcoscenico europeo, Sarkozy cambia faccia: è in prima linea nell’operare dove c’è qualcosa da risolvere, dalla lotta ai pirati in Somalia al fare da paciere fra Georgia e Russia – no, non è stato Berlusconi, come molti di voi penseranno. Il prossimo anno Sarkozy farà da padrone di casa sia al G8 che al G20, e fra la questione dell’Iran e la recessione avrà il suo bel da fare: da lui ci si aspetta una presa di posizione forte sulla regolamentazione dei mercati finanziari. Tanto a casa è nell’angolo, tanto in giro per il mondo è protagonista. E poi c’è Carlà.
L’uomo del popolo: Wen Jiabao – Cina
Le persone che vengono condannate a morte in Cina, ogni anno, sono molte di più di quelle che vengono condannate a morte in tutti gli altri Paesi messi insieme; in Cina sono tutt’ora attivi i laogai, i campi di concentramento cinesi, e il dissenso viene soffocato da censure e efferatezze. Ci sono le incredibili condizioni di lavoro, e c’è la repressione in Tibet. Insomma, se uno pensa alla violenza di Stato, la Cina è uno dei primi Paesi a venire in mente: eppure il premier cinese Wen Jiabao si è guadagnato la reputazione di leader dotato di un cuore. Nel 2008, dopo il catastrofico terremoto del Sichuan, Wen mostrò la propria commozione negli incontri con i sopravvissuti; lo stesso è accaduto di recente, dopo le alluvioni nella provincia del Gansu, quando – nonostante la pioggia – Wen è andato sul luogo a incitare le vittime della sciagura. È per queste ragioni che molti, in Cina, sono affezionati a “Nonno Wen”.
Il despota del fisco: Brian Cowen – Irlanda
L’Irlanda non se la passa bene: la disoccupazione è al 13 percento, la gente emigra, e i mercati finanziari la valutano appena prima della Grecia nella graduatoria delle economie meno al sicuro. Perciò il governo di Cowen e del suo ministro dell’economia Lenihan sta cercando di metterci una pezza. Vista la situazione non ha fatto sconti, mettendo in atto anche mosse impopolari come quella di alzare le tasse o di abbassare gli stipendi ad alcuni dipendenti pubblici. Certo, queste misure non gli hanno guadagnato le simpatie del suo elettorato: il suo apprezzamento è al 18 percento ed è probabile che il suo partito se la veda brutta nelle elezioni del 2012; però sul lungo termine la sua politica pagherà. Chissà dove sarà lui, nel frattempo.
Il leone in inverno: Luiz Inácio Lula da Silva – Brasile
Il mandato di Lula sta per finire, e lui è ormai considerato quasi una rock star. Certo, l’economia e la società brasiliana erano destinate a crescere da ben prima della sua ascesa al potere nel 2002, però Lula – nonostante il passato da sindacalista – ha capito che il mondo del business può essere un alleato anziché un nemico. È stato l’attuale premier a traghettare il Brasile trasformandolo da uno Stato del terzo mondo a uno dei mercati più in crescita del globo. La situazione brasiliana appare invidiabile: un’economia stabile, una grande riserva di fonti energetiche, una crescente classe media, e un progressivo assottigliamento del divario fra ricchi e poveri. Per quanto alcune delle sue uscite con biasimati demagoghi come Hugo Chávez e Mahmoud Ahmadinejad gli abbiano attirato molte critiche, Lula rimane essenzialmente un uomo pragmatico: abbastanza saggio da non dilapidare le nuove fortune del proprio Paese cavalcando sentimenti populisti. Ordem non si sa, progresso di sicuro.
L’amministratore delegato: Lee Myung-Bak – Corea del Sud
Lee Myung-Bak è un manager, e non c’è miglior situazione che una crisi finanziaria globale per mettere alla prova un campione del management. Mettendo a frutto la sua esperienza come amministratore delegato della Hyundai, Lee ha fatto attraversare all’azienda Corea la tormenta economica. Tassi d’interesse al minimo storico, fondi per salvare banche e compagnie, e grandi scambi di valuta per assicurarsi preziose riserve di moneta straniera. Il risultato? La migliore economia fra tutte le nazioni OSCE. A novembre Seoul ospiterà il G20, e siccome il principale argomento di discussione sarà la crisi economica, è probabile che la voce del padrone di casa venga ascoltata attentamente.
La ricostruttrice: Ellen Johnson Sirleaf – Liberia
Una donna, finalmente. E l’unica alla guida di uno Stato africano, al tempo della sua elezione nel 2005. La Liberia veniva da due guerre civili che avevano sterminato quasi un decimo della popolazione liberiana, e la fragile tregua che ne era seguita sembrava reggersi in piedi grazie ai 15 mila caschi blu che le Nazioni Unite avevano messo a vigilare sulla pace. Quando fu eletta, dopo una carriera nelle organizzazioni internazionali come la Banca Mondiale e l’ONU, Sirleaf disse che voleva essere prima di tutto una madre, per la Liberia. Sono passati cinque anni, di militari delle Nazioni Unite ne rimangono quasi la metà. Il tasso di scolarizzazione è cresciuto del 40%, molte città hanno energia elettrica e acqua corrente, e il commercio di legname e diamanti è diventato il fulcro del commercio – anziché del contrabbando – liberiano. Difficilmente George Weah, candidato contro di lei nel 2005, avrebbe fatto meglio.
Il riformatore: re Abdullah – Arabia Saudita
Da quando ha preso in mano il proprio Paese, cinque anni fa, re Abdullah ha provato a tirare fuori l’Arabia Saudita dal medio evo in cui si trova. Ha modernizzato le scuole, ha nominato una donna nel suo governo, ha investito nella tecnologia e nell’educazione. Sì è anche fatto testimone della lotta al terrorismo islamico pronunciando un discorso molto applaudito che chiedeva ai mussulmani di abbracciare “uno spirito di tolleranza, moderazione, ed equilibrio”. La direzione è quella giusta, ma di strada ce n’è ancora moltissima da fare.
L’intermediario: Lee Hsien Loong – Singapore
Dirige l’economia in maggiore crescita al mondo, Lee è un maestro nella gestione del rischio: durante la crisi finanziaria Singapore ha investito solamente su titoli sicuri, evitando al proprio Paese i crolli bancari che hanno colpito molte altre nazioni. Alcuni gruppi di credito valutano Singapore come il posto più sicuro dove fare affari in Asia. Anche in politica estera Lee è stato un perfetto intermediario, rafforzando i naturali legami con la Cina ma annunciando negoziati con gli odiati nemici di Taiwan. Il nuovo fronte è quello di provare a controllare le tensioni con gli Stati più vicini, dalla Malesia all’Indonesia: per chi sembra riuscire nell’impresa impossibile d’intrattenere rapporti commerciali sia con la Cina che con Taiwan potrebbe essere un gioco da ragazzi.