Ushahidi
La storia della piattaforma d’informazione collettiva che permette a chi ha bisogno di comunicare con i potenziali soccorritori
di Giovanni Fontana
Sul Post avevamo parlato di Ushahidi pochi giorni fa a proposito delle recenti elezioni presidenziali in Kenya, oggi è il Guardian a spiegare nuovamente di cosa si tratti. Gli ideatori lo definiscono una “piattaforma d’informazione collettiva”, inventata nello spazio di un week-end come risposta alle violenze scaturite dalle precedenti, e contestatissime, elezioni keniote del 2008. Ma il modo migliore per descriverlo è raccontare a cosa serve.
Al Guardian lo ha spiegato Erik Hersman, co-fondatore di Ushahidi e blogger, che si trovò a dover fronteggiare l’enorme numero di testimonianze sugli scontri che stavano avvenendo in tutto il Paese. Queste segnalazioni venivano documentate nei commenti di diversi blog, e in particolare sul blog dell’avvocato keniota Ory Okolloh, Kenyan Pundit:
Nella prima settimana di violenze post-elettorali tutti provavamo a documentare sui nostri blog quello che stava succedendo, e in un post qualcuno evidenziò il possibile uso che si poteva fare di Google Maps per mappare ciascuno degli incidenti che stavano avvenendo. Perciò io pensai “già, dobbiamo farne qualcosa di questa idea”: stavamo cercando soluzioni tecnologiche per ovviare alle inefficienze dei commenti – quella sembrò una buona risposta.
L’idea fu lanciata in fretta e furia il lunedì successivo a un operoso week-end di lavoro, sulla scorta dell’urgenza di dare una – anche piccola – risposta alle violenze che si verificavano quotidianamente nel Paese. A dispetto dell’invenzione precipitosa, però, il sistema su cui è fondato Ushahidi è rimasto pressoché lo stesso anche due anni dopo: chiunque può segnalare attraverso diversi canali – internet, email o Twitter, ma anche semplicemente via SMS – quello che sta avvenendo nei pressi, e ciascuna di queste testimonianze viene indicizzata e inserita su una mappa affinché i soccorritori sappiano dove c’è bisogno del loro intervento.
L’opzione telefonica è particolarmente importante nei luoghi meno sviluppati, dove internet non è così diffuso ma chiunque può accedere alla linea telefonica con un cellulare. Su Ushahidi non sono soltanto gli scontri a poter essere documentati ma anche le necessità di qualunque tipo, da quelle di generi alimentari di prima necessità, a quelle di trattamenti medici d’emergenza.
È per questo che dalle elezioni in Kenya del 2008 questo raccoglitore di testimonianze – Ushahidi vuol dire proprio “testimonianza” in Swahili – è stato esportato in numerosi altri scenari, e ha raccolto l’interesse delle Nazioni Unite e della Croce Rossa Internazionale che ne hanno fatto lo strumento ufficiale di mappatura delle necessità sul territorio nelle fasi successive al catastrofico terremoto a Haiti di questo inverno.
Il Post ha parlato con Anahi Ayala Iacucci, trentenne italo-uruguaiana, che dirige Ushahidi Cile ed è coinvolta in numerosi progetti per diffondere l’uso della piattaforma in Guinea, nello Zambia e in Egitto. Sul portato rivoluzionario di un mezzo semplice come questo, Iacucci dice: “Il sistema su cui si basa Ushaidi permette di mappare tutte le informazioni ricevute dandone subito una visualizzazione spaziale che è in grado di fornire al primo impatto non solo un contenuto, ma una organizzazione grafica delle necessità. Di particolare rilievo, inoltre, è la possibilità di raccogliere le segnalazioni secondo categorie scelte e organizzate da chi fornisce le informazioni e non necessariamente soltanto da chi le recepisce”.
Secondo Iacucci, Ushahidi ha anche un grande valore politico: “Un mezzo come questo, che è a disposizione delle gente, taglia il circuito di gestione dell’informazione. L’informazione solitamente è appannaggio dei media nazionali che spesso sono soggetti a censure o veti governativi, cosa molto frequente in particolare nei Paesi in via di sviluppo. In questo senso la potenzialità del mezzo è duplice: laddove l’informazione è potere, con Ushahidi questo potere viene condiviso con tutte le fasce della popolazione, e al tempo stesso diventa mezzo di organizzazione sociale, permettendo a chi fornisce le testimonianze e a chi le utilizza, di lavorare per un obiettivo comune nonostante l’eventuale distanza geografica”.
Naturalmente anche Ushahidi ha i propri punti deboli: “Ushahidi è solo una piattaforma, non una metodologia o una garanzia di qualità. Chi gestisce la piattaforma rimane sempre colui che ne determina la qualità e perciò la buona riuscita dell’iniziativa di documentazione. D’altra parte la piattaforma si scontra con problematiche strutturali: in un posto dove c’è analfabetismo tecnologico, il livello di penetrazione delle informazioni presentate non sarà che una piccola quota di quelle che sono le reali esigenze. Inoltre Ushahidi non è neanche un sistema di verifica delle informazioni: c’è sempre un problema di credibilità delle testimonianze che vengono inserite nel sistema, ma nel tempo è stata la stessa piattaforma a maturare degli anticorpi per riconoscere, o quantomeno avere degli indizi, dell’eventuale scarsa attendibilità di una fonte”.
Con l’affermarsi di questo nuovo sistema di scambio d’informazione, l’uso di Ushahidi potrebbe ampliarsi in ulteriori campi: “Essendo uno strumento di recente invenzione, i fronti di utilizzo della piattaforma sono in continua evoluzione: in questo momento moltissime delle migliorie in procinto di essere rese disponibili riguardano la fruizione attraverso i telefoni cellulari, per i quali sono in cantiere diverse applicazioni che possano rendere ancor più immediata e precisa la comunicazione. Probabilmente, l’ambito destinato a espandersi maggiormente nei prossimi mesi è quello del monitoraggio ambientale ed ecologico, nel quale Ushahidi può svolgere una fondamentale funzione di prevenzione. A questa attività sono particolarmente interessati i Paesi del terzo mondo che sono spesso i primi a subire le conseguenze dei disastri ambientali, e Ushahidi fornisce loro uno strumento di costante osservazione a basso costo. In ogni caso determinare quali siano gli scenari evolutivi che si prospettano a una piattaforma come Ushahidi è pressoché impossibile: l’apertura strutturale del sistema permette possibilità di adattamento potenzialmente infinite”.