Nello stand della Corea del Nord
In attesa di quella di Milano, l'inviato della Stampa racconta la sua visita all'Expo di Shangai
Come saprete, nel 2015 Milano ospiterà la cosiddetta Expo, ovvero l'”esposizione universale”. Si tratta di una gigantesca fiera all’intero della quale ogni paese al mondo avrà un suo spazio, uno suo stand. Il tema sarà “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. In questi mesi se n’è parlato molto, ma per questioni a loro modo laterali: il doppio stipendio di Lucio Stanca, le infiltrazioni criminali negli appalti, i progetti per le nuove strutture da costruire vicino Rho, dove sono già dislocati i padiglioni espositivi della nuova fiera milanese. Rimane una zona d’ombra sul contenuto vero e proprio della fiera, e allora la Stampa ha mandato un suo inviato a Shangai, la città che ospita l’edizione di quest’anno dell’Expo. Mattioli si è fatto un giro soprattutto tra gli stand dei “paesi difficili”.
A parte la consacrazione della Cina triumphans nel suo nuovo ruolo di locomotiva dell’economia mondiale, nessuno sa a cosa serva davvero l’Expo di Shanghai. E nemmeno come fare a visitarla senza doversi trasferire qui per una settimana: l’Expo non è grande, è immensa. E, in ogni caso, a impedire una visione d’insieme ci sono i 39 gradi di un’estate insolitamente calda perfino per gli afosi parametri locali e un’affluenza di pubblico che fa sì che tu sia circondato in permanenza da qualche milione di cinesi.
E poi, diciamolo, è troppo facile andare a lustrarsi gli occhi con gli ultimi gadget elettronici «made in Japan» o con il supermaxischermo di cento metri del padiglione saudita. Tutto «déjà vu» e, con la copertura mediatica che l’Evento ha avuto, anche «déjà lu», già letto. E visto e sentito, uffa uffa. Più intrigante, allora, è andare a curiosare nei padiglioni di Paesi che, francamente, non si capisce bene cos’abbiano da «exporre» all’ammirazione del mondo. Prendete la Repubblica Democratica Popolare di Corea, alias Corea del Nord. Il suo padiglione sembra ancora più grande perché è sostanzialmente vuoto. Pare infatti che gli unici due prodotti esportabili dall’ultimo Paese comunista del mondo (Emilia-Romagna a parte) siano delle bustine di ginseng e la copiosa produzione letteraria dei due dittatori del Dopoguerra, papà Kim Il Sung e suo figlio Kim-Jong il, entrambi grafomani incalliti (il secondo anche compositore, con all’attivo sei opere liriche). Personalmente, ho preferito acquistare per 30 yuan, circa 3 euro, «The Immortal Woman Revolutionary», agiografia dell’«indomabile combattente rivoluzionaria compagna Kim Jong Suk» (1917-1949), indimenticabile specie nell’ultima parte, intitolata appunto «Unforgettable anecdotes». Altro, nel padiglione, non c’è. E tuttavia i cinesi fotografano compulsivamente tutto, compresa la scritta «Paradise for People» sotto la quale scorrono i video paradisiaci di bambine prodigio coperte di paillettes che suonano il pianoforte accompagnate da un’orchestra di militari, balletti in costumi tipici e oceaniche parate negli stadi (Primo Maggio? Compleanno dell’Amato Leader? Memorial della compagna Suk? Boh, purtroppo il sonoro è solo in coreano…).