Ok, cambiamo la legge elettorale. Ma come?
Michele Ainis sul Sole 24 Ore mette il dito nella piaga, e fa una proposta
Le pagine politiche dei quotidiani di oggi raccontano tutte dell’apertura di Di Pietro all’ipotesi di un governo istituzionale a termine, che abbia il compito fondamentale di cambiare la legge elettorale e poi portare il paese alle urne. È la stessa posizione del PD, ed è su questa proposta che Bersani spera si possa raccogliere un nutrito gruppo di parlamentari – una nuova maggioranza, in pratica – qualora il governo dovesse cadere.
L’intenzione è sicuramente auspicabile: non è necessario elencare tutte le incongruenze di una legge elettorale come quella attuale, farraginosa e inefficace sia nella tutela della rappresentanza che nella formazione di maggioranze stabili. Rimane un punto ineludibile, però: ammesso che si trovi una maggioranza parlamentare che si trovi d’accordo sull’intenzione di cambiare la legge elettorale, questa rimarrebbe maggioranza anche dopo aver deciso come cambiarla? Insomma: con cosa pensiamo di sostituire la legge Calderoli? L’argomento in questi giorni latita, e oggi il costituzionalista Michele Ainis sul Sole 24 Ore mette il dito nella piaga.
Ainis racconta di come il primo ministro britannico David Cameron ha annunciato subito dopo il suo insediamento la proposta di cambiare la legge elettorale: in Gran Bretagna la legge prevede che le regole sulle elezioni possano essere modificate solo nell’anno successivo al voto, così da evitare che una parte politica possa modificarle strumentalmente, col solo scopo di colpire gli avversari (vi ricorda qualcosa?). In Italia, scrive Ainis, succede il contrario. Il dibattito sulla legge elettorale “puzza di zolfo”: se se ne parla, è perché il governo è alla frutta.
Ma c’è un disegno, un oroscopo, un progetto condiviso? Macché: c’è una giostra dove ciascuno va per conto proprio, dove se metti insieme due leader di partito, loro sputano fuori tre idee distinte e contrapposte. C’è almeno un soprassalto di pudore, una resipiscenza sia pure tardiva rispetto al disastro nazionale provocato dal Porcellum? Nemmeno questo: ognuno tira l’acqua al suo mulino, vuole cambiare per trarne qualche profitto elettorale.
Ricapitoliamo, allora. Berlusconi vorrebbe correggere solo i meccanismi del Senato, per avere anche lì il premio di maggioranza nazionale che disinnescherebbe i finiani, che non hanno ancora dato la loro posizione sul tema. L’UdC vuole il proporzionale per smontare il bipolarismo, l’IdV non vuole sentire parlare di smontare il bipolarismo. Il PD è diviso tra i sostenitori del proporzionale e quelli del maggioritario. Hanno fatto un congresso, direte voi: decida chi ha vinto. Il problema è che anche tra chi ha vinto il congresso le posizioni sono ben differenti. D’Alema sosteneva Bersani ed è un sostenitore del proporzionale. Bindi sosteneva Bersani ed è una sostenitrice del maggioritario. E così via.
L’unica idea comune dell’opposizione è quella d’usare la riforma elettorale come un salvagente della legislatura, intanto per far fuori Berlusconi con un governo di salvezza nazionale dal Porcellum, poi per farlo fuori alle prossime elezioni con un Postporcellum che gli vada per traverso. Di Pietro ha invocato un governo tecnico allo scopo. Tutto qui? No: resterebbe da domandarsi che ne pensano gli italiani di questo gioco a rimpiattino, di questa partita sui congegni elettorali dove la posta in palio non è affatto l’interesse nazionale, bensì quello delle segreterie politiche. Siccome però la nostra opinione conta meno di zero, per tirarci su il morale possiamo pur sempre immaginare un altro gioco, o almeno un’altra regola per il gioco dei partiti.
Ainis propone allora una norma sul modello britannico. Sbarazziamoci del Porcellum e poi scriviamo sulla Costituzione che la legge elettorale può modificarsi solo durante l’anno successivo alle elezioni, con l’obbligo di sottoporla a referendum popolare. Solo che si torna al punto di partenza: esiste o esisterà mai una maggioranza d’accordo con questa misura?
Un rimedio draconiano? Però ci risparmierebbe leggi concepite come altrettanti trappoloni per lo schieramento avverso, sulla falsariga della riforma Calderoli del 2005, o di quella prossima ventura. I partiti sarebbero obbligati a scriverla sotto un velo d’ignoranza, per usare l’espressione di John Rawls: impossibile fare il conto dei ricavi e delle perdite, impossibile misurare il vantaggio di ciascuno.