Cosa succede a Liberazione
I giornalisti scioperano contro il mancato pagamento degli stipendi, il direttore li critica
La settimana scorsa i giornalisti di Liberazione, il quotidiano di Rifondazione Comunista, hanno fatto due giorni di sciopero. Il Comitato di redazione ha descritto la mobilitazione come “la prima iniziativa di lotta per la garanzia del diritto alla retribuzione”, spiegando che l’azionista del giornale, cioè Rifondazione, ha comunicato che dal mese di agosto i lavoratori del quotidiano dovranno lavorare “senza più garanzia certa di retribuzione”.
“Lavorare in una condizione di ‘sospensione’ della regolare retribuzione è una proposta irricevibile per qualsiasi lavoratrice e qualsiasi lavoratore, come ha già sottolineato il sindacato. È perché non si pensi di poter aggirare in maniera indolore questo punto inequivocabile che le redattrici e i lavoratori di Liberazione sono in sciopero e sollecitano di nuovo Prc, azienda e direzione ad assumersi pienamente le rispettive responsabilità e a mettersi nelle condizioni di indicare immediatamente i termini di garanzia della retribuzione del lavoro”
Il quotidiano di Rifondazione si trova da diverso tempo in difficoltà economica, ma i veri problemi sono cominciati quando ai problemi di bilancio si sono aggiunti i problemi politici. La storia la raccontava ieri Europa, oggi torna a occuparsene il Foglio. In sostanza, per anni i buchi di bilancio causati dalle insufficienze delle vendite e della raccolta pubblicitaria sono state colmate da Rifondazione Comunista, azionista ed editore del giornale. Poi succedono due fatti che cambiano tutto. Il primo è il flop della Sinistra Arcobaleno alle elezioni politiche del 2008, che svuota le casse di Rifondazione. Il secondo è il successivo congresso del partito, che vede Paolo Ferrero battere di un soffio Nichi Vendola, che dopo la sconfitta lascia Rifondazione per fondare Sinistra e Libertà.
Il primo fatto rende complicato per Rifondazione intervenire a garanzia delle casse del giornale. Il secondo fatto trasforma Liberazione da risorsa a fardello, visto che il suo direttore Piero Sansonetti si trova dichiaratamente sulle posizioni politiche di Vendola, e non su quelle del neo-segretario Ferrero. Passa qualche mese di accuse e polemiche, e Sansonetti lascia la direzione del giornale: poco prima Ferrero aveva chiesto alla direzione di Rifondazione di dargli il mandato di licenziarlo. Al suo posto arriva Dino Greco, che in realtà non è nemmeno giornalista, bensì un sindacalista della CGIL. E che non riesce a convincere del suo progetto buona parte della redazione, rimasta fedele a Sansonetti. Il problema non è solo economico: è politico. E lo ammette lo stesso Greco, nell’editoriale con cui risponde alle rimostranze dei suoi giornalisti.
Sto cercando di dire che non esiste – e tutte le persone oneste sanno che a Liberazione non è mai esistita in questi venti mesi – una questione sindacale. Ne esiste, invece, una politica, dissimulata nel comunicato di ieri, ma non per questo meno evidente. Una questione che ha il suo atto di nascita nel cambio di direzione del giornale, che ha carsicamente e con diversa intensità attraversato questi mesi, ma che non è mai stata metabolizzata da una parte del corpo redazionale, generando frequenti contrasti e tensioni. […] Di cosa si parla, allora? In primo luogo del rapporto con il partito e con la sua comunità di riferimento. Se l’uno e l’altra sono pensati come un ostacolo all’avventurarsi del giornale sul terreno dell’innovazione e della modernità, se si ritiene che quel legame debba essere allentato o reciso, oppure se si inseguono altri progetti politici è evidente che si genera un cortocircuito fatale. Una cosa è suscitare una dialettica feconda, estranea a chiusure settarie, pungolo critico capace di mettere in comunicazione culturale e politica aree sociali, soggettività diverse, nell’intento di contribuire alla riaggregazione di una sinistra che riscopra le ragioni della propria unità, che torni a contare nella vicenda del nostro Paese; un’altra è immaginare un giornale che approda alle magre sponde del post-comunismo o dell’a-comunismo e che affida ad un confuso sincretismo culturale, sostanzialmente autoreferenziale, la ricerca di nuovi lettori e di nuove comunità di riferimento.
La reazione di Greco e di Rifondazione Comunista è stata raccontata e commentata anche da altri giornali. Il Foglio oggi parla di “sospetti di vendolismo” e racconta di una redazione spaccata. L’articolo pubblicato ieri da Europa descriveva una situazione decisamente problematica, che racconta molti dei problemi e delle contraddizioni dell’estrema sinistra italiana, ogni giorno che passa più logora e più piccola.
Dino Greco, direttore comunista di un giornale comunista edito da un partito comunista nonché storico sindacalista bresciano, si scaglia contro i lavoratori e la loro protesta. Tanto che il comitato di redazione è costretto a emettere un comunicato in cui scrive senza mezzi termini di «atti di denigrazione e aggressione pubblica alla legittima iniziativa sindacale » da parte del direttore. Ma non solo. Ad appoggiare l’iniziativa di Greco contro la redazione interviene il segretario comunista Paolo Ferrero, ovvero chi si sente l’ultimo paladino dei lavoratori ma che da settembre manderà in cassa integrazione tutti i funzionari del partito, compresi quelli della sua segreteria. E non finisce qui. Nella redazione di Liberazione compare anche una categoria lontana anni luce dal brodo di cultura comunista: il crumiro. Sei redattori non aderiscono allo sciopero ma invece di andare a lavorare preferiscono mettersi in ferie. Fra questi c’è anche il capo del sindacale, che da anni scrive a sostegno delle lotte dei lavoratori di tutto il mondo e del diritto allo sciopero.