Confessione all’iraniana
La televisione iraniana ha trasmesso un video in cui la donna confessa l'adulterio e l'omicidio del marito
di Elena Favilli
La donna iraniana condannata alla lapidazione per adulterio potrebbe essere uccisa da un momento all’altro. Ieri sera la televisione iraniana ha trasmesso un video in cui Sakineh Mohammadi Ashtiani, 43 anni, confessa con voce tremante di essere stata complice dell’omicidio di suo marito e di avere avuto una relazione con il cugino di lui. Il suo avvocato ha detto al Guardian che la donna era stata torturata per due giorni prima di accettare di confessare quello che le chiedevano davanti a una telecamera. I tempi d’esecuzione della sua condanna ora potrebbero essere notevolmente accelerati.
La storia di Sakineh Mohammadi Ashtiani assomiglia a quella di molte altre donne condannate dai tribunali islamici. Prima l’accusa di avere avuto rapporti sessuali al di fuori del matrimonio, poi una confessione estorta con la tortura, quindi la condanna. Poche settimane fa il tribunale iraniano aveva deciso di rinviare l’esecuzione della sentenza in seguito alle pressioni internazionali scatenate dal suo caso. Poi aveva fatto sapere che l’esecuzione ci sarebbe stata comunque, ma con un’altra modalità: impiccagione invece di lapidazione.
Il video è stato trasmesso durante uno dei programmi iraniani più seguiti della sera, il giorno dopo la richiesta all’Iran di Hillary Clinton di rispettare i diritti dei cittadini e di porre fine alle esecuzioni. Nel video la donna non solo si accusa dell’adulterio e dell’omicidio del marito, ma critica anche la stampa occidentale per essersi intromessa nella sua vicenda: uno dei segnali più chiari che la confessione è stata estorta, dal momento che solo pochi giorni fa nella sua intervista al Guardian per interposta persona, la donna aveva accusato le autorità iraniane di avere mentito solo per poter velocizzare i tempi della sua esecuzione.
«Stanno mentendo. Sono in difficoltà per l’attenzione internazionale che la mia storia ha sollevato e stanno cercando disperatamente di confondere i media solo per potermi uccidere in segreto. Sono stata accusata di adulterio, ma condannata per omicidio. Invece l’uomo che ha ucciso mio marito è stato arrestato e condannato, ma non sarà ucciso».
Nonostante la lapidazione non sia mai menzionata tra le pene previste dal Corano, molte donne continuano ad essere condannate a questa pena nei paesi islamici più radicali. Soprattutto nelle regioni più rurali, più povere e meno istruite dove le sentenze vengono spesso emesse senza nessuna sostanziale documentazione ma solo sulla base di processi sommari, in cui ci si limita a prendere per vero quello che viene testimoniato dagli uomini del villaggio. Spesso poi le donne accusate sono del tutto inconsapevoli dei loro diritti, e gli stessi giudici non conoscono la complessità delle leggi e il carico di prove necessarie per una condanna. La lingua madre di Sakineh Asthiani è l’azero – la lingua che si parla nelle regioni nordoccidentali dell’Iran, al confine con l’Azerbaigiàn – e quando le hanno fatto firmare la sua sentenza di condanna non aveva neanche capito di che si trattasse perché non conosce il persiano.
Troppo spesso questa ignoranza collettiva fa sì che sia lo zelo delle varie comunità e non la legge a stabilire chi è colpevole e chi è innocente. L’accusa di adulterio viene usata come mezzo di controllo sulle donne. Gli uomini molto raramente sono accusati di adulterio e nella maggior parte dei casi sono proprio mariti o padri gelosi a ricorrere alla legge della zina per punire le loro mogli o le loro figlie, come raccontò il film “The stoning of Soraya” del 2008. «È perché sono una donna», ha spiegato Sakineh Asthiani nella sua intervista al Guardian «per loro l’adulterio è peggio dell’omicidio: un uomo che ha commesso adulterio spesso non finisce neanche in prigione, una donna adultera invece per loro è la fine del mondo».