Berlusconi e la villa di Arcore
La storia di Villa San Martino e del suo acquisto, che i finiani hanno tirato fuori dal dimenticatoio
Abbiamo già osservato come i quotidiani scambi di battute tra berlusconiani e finiani abbiano da tempo oltrepassato il livello di guardia, quello oltre il quale pensare di tornare indietro e ricomporre la situazione diventa estremamente complicato, se non impossibile, persino con tutta la eventuale buona volontà. E mentre da una parte – complici le ferie, agosto, il caldo – da qualche tempo alle parole grosse e alle minacce roboanti non segue alcuna conseguenza politica, dall’altra è piuttosto divertente osservare come la nuova situazione abbia rimescolato posizioni e paradigmi della politica italiana a cui eravamo abituati.
Per dire, due anni fa non avremmo mai creduto all’idea di vedere il Giornale fare una raccolta di firme per invitare alle dimissioni un personaggio politico del centrodestra coinvolto in un caso poco chiaro ma senza alcuna rilevanza penale. Oppure: anche soltanto un mese fa, avreste ritenuto possibile che nell’anno 2010 qualcuno potesse tirare fuori dal cassetto la storia della villa di Arcore e rinfacciare a Berlusconi le modalità con cui la comprò? Persino i più combattivi esponenti dell’Italia dei Valori si dedicano da tempo a bersagli più attuali.
La storia della casa di Arcore è stata tirata fuori dai finiani, precisamente dall’onorevole Briguglio, in risposta alle accuse del PdL a Gianfranco Fini sulla vicenda della casa a Montecarlo. Il premier dovrebbe «chiarire agli italiani», ha detto Briguglio, come acquistò villa San Martino a metà degli anni Settanta. La storia c’è, è appassionante e a suo tempo fu raccontata dalla stampa con dovizia di particolari.
In breve, la villa di Arcore – che in realtà si chiama Villa San Martino – fu acquistata da Berlusconi da una contessa, all’epoca minorenne e orfana, la cui tutela legale era stata affidata al senatore liberale Giorgio Bergamasco e all’allora giovane avvocato Cesare Previti. E fu pagata una cifra ridicola: 500 milioni di lire a fronte di un immobile che le banche valuteranno oltre i sette miliardi di lire. Ma la storia è più intricata di così, e vede muovere i primi passi a personaggi che diverranno poi protagonisti della vita politica italiana, dallo stesso Previti a Marcello Dell’Utri. Nel 2004 Nando Dalla Chiesa la raccontò per intero in un lungo articolo pubblicato sull’Unità.
Gli anni Settanta furono tumultuosi non solo sulle pubbliche vie, e non solo al sabato pomeriggio. Furono ricchi di tumulti, se così si può dire, privati. Anche di domenica. Ed era proprio una domenica di fine agosto del 1970 quando il marchese Camillo Casati Stampa, 43 anni, uccise con un fucile da caccia la moglie Anna Fallarino e il suo giovane amante, lo studente Massimo Minorenti, per poi uccidere se stesso. Fosse stato l’onore offeso, il caldo estivo o la impossibilità (allora) di divorziare, quale che sia stata insomma la causa scatenante del delitto, fatto sta che il mito di Arcore, dei luoghi sacri dell’era berlusconiana, nasce in quel mattino di sangue: a dimostrazione – ancora una volta – che ciò che dà fortuna a Silvio Berlusconi coincide sempre con una tragedia altrui.
Il marchese infatti aveva proprietà immense, il cui valore venne stimato dai giornali intorno ai tre-quattrocento miliardi del tempo. E aveva una sola erede, la marchesina Annamaria, nata dal primo matrimonio. La sorella della signora Fallarino cercò di conquistare quel bendiddio per il proprio ramo, sperando di riuscire a dimostrare che la marchesa avesse esalato l’ultimo respiro dopo il marito omicida. Benché patrocinata in questo nobile tentativo da un giovane e valente avvocato calabrese, di nome Cesare Previti, ella non riuscì nel proprio intento. Poco male. Il giovane avvocato, dopo avere patrocinato le ragioni della parte rimasta a bocca asciutta, si offrì in soccorso alla parte vincente, ossia alla marchesina, appena 19enne. Che accettò.
In parallelo però il Tribunale dei minori (allora essendo fissata la maggiore età ai 21 anni) affidò la giovane a un vecchio amico dei Casati, un senatore liberale di professione avvocato e di nome Giorgio Bergamasco. Costui, sul piano culturale, non è un alieno nella storia che stiamo raccontando. Si era distinto infatti per avere presentato più disegni di legge in materia finanziaria, tra cui uno sulle successioni e uno di amnistia per i reati finanziari. Fu lui a stendere la denuncia di successione. E lo fece coerentemente con lo spirito delle sue fatiche legislative: 231 pagine per descrivere immobili e terreni, titoli e gioielli, per un controvalore inferiore ai due miliardi. Lo stesso ministro delle finanze lo giudicò risibile. E aveva ragione se si pensa che alcuni piccoli lotti di terra nel comune di Cusago, nemmeno dettagliati in quella denuncia, sarebbero poi stati venduti a sei miliardi, ossia per un valore triplo dell’intero patrimonio.
Tuttavia per rispetto dei morti e di una vicenda così dolorosa, non successe nulla. La marchesina rimase, con quel patrimonio a lei intestato, affidata alle sapienti mani del senatore Bergamasco e dell’avvocato Previti. Lo avrebbe ella gestito al meglio o lo avrebbe venduto (e forse svenduto) pezzo a pezzo? C’era nelle vicinanze una società interessata alle attività immobiliari e che brillava per dinamismo e trasparenza. La possedeva una delle primissime manager italiane, una signora tutta Bocconi e Boston, tale Maria Borsani, zia di Silvio Berlusconi, affiancata da un brillante finanziere di nome Giorgio Dell’Oglio, cognato dello stesso Berlusconi. Si chiamava Edilnord Centri Residenziali sas, la società. La quale mise gli occhi anche sulla tenuta di Arcore e sulla villa di San Martino.