Perché abolire i brevetti sul software
Per Vivek Wadhwa, brevettare i programmi per i computer inibisce l'innovazione e fa vivere le aziende in un clima del terrore
Inventi qualcosa di innovativo, lo brevetti e per un periodo di tempo sei sicuro che nessuno ti ruberà l’idea, almeno in teoria. Ogni giorno centinaia di domande per brevettare una invenzione vengono presentate da centri di ricerca, società e singoli cittadini desiderosi di avere qualche garanzia per tutelare i risultati del loro lavoro. Pur con qualche sgradevole effetto collaterale, il sistema funziona abbastanza bene per i farmaci, le biotecnologie, i materiali e i prodotti di consumo (dalle automobili alle lenti a contatto), ma secondo i suoi detrattori è totalmente inadeguato per i programmi per il computer.
Vivek Wadhwa è un esperto della questione: collabora con le università di Berkeley, Harvard e con la Duke University e da tempo sostiene la necessità di abolire i brevetti per il software, come spiega in un articolo pubblicato su TechCrunch:
I brevetti non incentivano l’innovazione, la inibiscono. Questo perché le cose cambiano rapidamente in questo settore. La velocità e l’obsolescenza tecnologica sono le uniche protezioni che davvero contano. Invece di preoccuparsi di chi potrebbe rubare le loro idee, le società alle prime armi devono preoccuparsi più di qualche soggetto più grande o di qualcuno che mira a portarle sulla bancarotta attraverso una causa legale strumentale su un brevetto.
Una ricerca realizzata da alcuni docenti dell’università di Berkeley sembra confermare quanto sostenuto da Wadhwa. I ricercatori hanno raccolto dati su 1332 startup (imprese in fase di avviamento) specializzate in tecnologia a partire dal 1998, concentrandosi sulle 700 attive nell’ambito software e Internet, ottenendo alcuni interessanti risultati.
– Solamente il 24% delle imprese alle prime armi che realizzano software si è preso la briga di brevettare i propri prodotti a fronte del 76% nel caso dei dispositivi medicali e del 75% nelle biotecnologie. La cifra aumenta nel caso delle società che sono sostenute da fondi di investimento: 67% per il software, 94% per i dispositivi medicali e 97% per le biotecnologie.
– Secondo i responsabili delle società che producono software, i brevetti sono tra le cose meno importanti per tutelare davvero i propri programmi. La possibilità di arrivare primi sul mercato conta più di tutto e per evitare la concorrenza sleale non servono necessariamente i brevetti, semmai sono importanti la registrazione dei marchi, dei diritti d’autore e il mantenimento della segretezza sui propri progetti.
– Programmi difficili da copiare o da decifrare offrono maggiori garanzie rispetto ai singoli brevetti, almeno stando ai risultati della ricerca della Berkeley. Se si realizzano software ben protetti, la concorrenza avrà più difficoltà a comprenderne il funzionamento e a imitarne le funzionalità, consentendo a chi ha sviluppato il programma originale di mantenere un certo vantaggio.
– Spesso le società registrano i brevetti per cercare di mettere al sicuro i loro investimenti, ma ammettono che tale soluzione non incentiva di fatto l’innovazione. Il sistema dei brevetti instaura, inoltre, un clima del terrore tra le aziende che temono l’avvio di cause milionarie contro di loro al rilascio di ogni nuovo programma, che magari contiene una funzionalità che viola il brevetto registrato da un concorrente. Dalla ricerca delle Berkeley emerge chiaramente un dato: molte società acquistano le licenze dalle altre aziende non per poter utilizzare le loro tecnologie o acquisire nuove conoscenze, ma semplicemente per tutelarsi ed evitare di violare inavvertitamente i brevetti degli altri.
Il sistema utilizzato per registrare i brevetti è inoltre inadeguato per un settore in rapida evoluzione come quello del software. Lo scorso anno negli Stati Uniti, il tempo medio per registrare un brevetto era di tre anni e mezzo, quasi il doppio rispetto all’anno e mezzo previsto dai regolamenti.
La cosa veramente allarmante – spiega Wadhwa – è che l’ufficio brevetti pubblica automaticamente online le richieste di registrazione dopo 18 mesi, mettendo a disposizione tutti i dettagli delle nuove invenzioni a prescindere dall’avvio dell’analisi della richiesta di registrazione da parte di un esaminatore. Qualsiasi società concorrente in qualsiasi parte del mondo può così rubare le idee degli altri. Questo compromette interamente lo scopo del sistema dei brevetti: l’ufficio brevetti chiede a chi invia la registrazione molto denaro per avere poi il privilegio di diffondere i loro segreti industriali.
Meno della metà dei brevetti presentati viene di norma accettata, una cifra distante dal 70% di dieci anni fa. Si stima che le società perdano per strada almeno 6,4 miliardi di dollari all’anno nel tentativo di registrare invenzioni che vengono poi respinte dall’ufficio brevetti.
La posizione di Wadhwa sui brevetti è condivisa da molti esperti del settore, che da tempo si battono per cambiare le cose e abbandonare l’attuale sistema delle registrazioni. Brad Feld, responsabile del fondo di investimenti Foundry Group, non ha molti dubbi in proposito: «Cancelliamo questi abomini».
Per chi la pensa come Wadhwa e Feld, il sistema è ormai totalmente fuori controllo negli Stati Uniti e non consente di gestire e proteggere propriamente le innovazioni dei programmi per i computer. Il metodo migliore per tutelare il lavoro di chi produce software rimangono il copyright e i segreti industriali, sostengono i detrattori. I brevetti, la burocrazia che ne consegue e le cause legali spesso strumentali distolgono l’attenzione e le risorse delle società che vogliono innovare, danneggiando così l’intero settore e gli utenti.