La patata bollente delle nozze gay
La sentenza californiana rischia di farle diventare una questione nazionale, alla vigilia delle elezioni di metà mandato
La sentenza che ha dichiarato incostituzionale la Proposition 8, la legge che impediva agli omosessuali di sposarsi in California, rischia di portare il tema delle unioni omosessuali al centro della campagna elettorale per le elezioni di metà mandato del prossimo novembre. Qualora il procedimento dovesse arrivare fino alla Corte Suprema, come probabile, la questione potrebbe acquisire il carattere nazionale che non ha avuto fino a oggi.
I Paesi del mondo dove il matrimonio è legale sono dieci. Negli Stati Uniti la materia è sempre stata sotto la giurisdizione dei singoli Stati, perciò – dal 2004, quando il Massachusetts fu il primo Stato americano a riconoscere i matrimonî contratti fra persone dello stesso sesso – diverse giurisdizioni hanno cominciato a riconoscere i matrimonî contratti da gay e lesbiche. Oltre alla disputata situazione californiana, sono sei gli Stati che hanno legalizzato le nozze omosessuali: Massachusetts, Connecticut, Iowa, New Hampshire, Vermont, e il District of Columbia.
L’atteggiamento di Barack Obama sul tema ha finora ricalcato questa realtà – ovvero che ciascuno Stato debba regolare la materia a livello locale – e questo gli ha permesso di non prendere esplicitamente posizione: in campagna elettorale aveva detto di pensare che “il matrimonio sia tra un uomo e una donna”, ma anche invitato i gay a combattere per i loro diritti, e ha appoggiato le unioni civili. Ma se la sentenza di mercoledì dovesse arrivare fino all’ultimo grado di giudizio, la sintesi tra queste opinioni potrebbe diventare necessaria e alienargli un bel po’ di consensi, da una parte o dall’altra. Già ieri sera il suo consigliere David Axelrod ha faticato a tenere assieme la conferma che “Obama resta contrario ai matrimoni tra persone dello stesso sesso” e la critica del Presidente contro la Proposition 8.
Anche all’interno dei partiti la questione viene vista sia come un’opportunità che come uno spauracchio, racconta il New York Times, in vista delle elezioni di medio termine. Il tema è sempre stato affrontato in maniera più controversa all’interno dei Democratici, perché la contrarietà della gran parte dell’elettorato suggeriva una prudenza sulla battaglia che, verosimilmente, avrebbe tentato gli elettori più liberal, più favorevoli alla legalizzazione dei matrimonî gay. Con la diffusione di una maggiore apertura sul tema all’interno dell’opinione pubblica, la questione ha cominciato a essere dibattuta anche nelle file dei Repubblicani, specie negli stati dove la pratica è legale.
L’argomento, quindi, potrebbe assumere una particolare rilevanza nell’orientare il voto accanto alle tradizionali questioni economiche come le tasse, la spesa e il debito pubblico. Un rappresentante della National Organization for Marriage, un’associazione che riunisce molte delle comunità contrarie alla legalizzazione delle nozze gay, ha detto che il pronunciamento è l’inizio di una “grande guerra culturale” negli Stati Uniti, aggiungendo che chi sosterrà la decisione del giudice Walker dovrà necessariamente pagarne un prezzo in termini elettorali.
Questo era certamente vero qualche anno fa, ma ultimamente le cose stanno cambiando, come dice un consigliere della sconfitta campagna presidenziale di John Kerry, le cui posizioni poco nette sul tema furono sfruttate con successo dai Repubblicani: «oggi le persone si sentono sempre meno a proprio agio con un tipo di discriminazione basato sulla sessualità delle persone».
Intanto oggi è atteso un secondo verdetto da parte del giudice Walker: la Proposition 8 è stata dichiarata incostituzionale, ma non è ancora chiaro se il provvedimento di sospensione avrà attuazione immediata, così da permettere fin da subito a chiunque volesse farlo di celebrare le proprie nozze in California. Le parti saranno riascoltate oggi dal giudice e nella tarda serata si saprà se la decisione avrà validità fin da subito o se bisognerà aspettare un successivo grado di giudizio.