L’Italia secondo Navarro-Valls
L'ex direttore della sala stampa del Vaticano su Repubblica parla dell'aria che tira nel nostro paese, visto da fuori
L’ex direttore della sala stampa del Vaticano, divenuto assai popolare in quel ruolo durante lo scorso papato, oggi scrive per Repubblica un commento sull’aria che tira in Italia e sulla questione intercettazioni, parlando tra molte cautele di “pulsione giustizialista molto forte”, di “sputtanamento” e cita precedenti storici di nuove leggi tese a “rinnovare e adattare la giurisprudenza alla nuova situazione barbarica”.
L’intervento di Joaquín Navarro-Valls nel dibattito pubblico italiano è un fatto relativamente inedito, se si escludono quelli direttamente collegati ai temi che hanno a che fare con la Chiesa. Da quando ha lasciato l’incarico di direttore della sala stampa del Vaticano, dopo il primo anno di papato di Joseph Ratzinger, non si ricordano interventi di Navarro-Valls che avessero come tema l’Italia e non il Vaticano o il cattolicesimo. Quindi la sola presenza dell’editoriale di oggi su Repubblica è già di suo una piccola notizia. Le sue ragioni sono enunciate nelle prime righe dell’articolo.
Allontanarsi dall’Italia, specialmente per chi come me vi passa quasi tutto il suo tempo, è un’esperienza rivelatrice, talvolta perfino sconcertante. Non che sia necessario andare lontano per capire quello che accade sotto casa, ovviamente. Ma è certamente utile per guadagnare un’ignorata prospettiva, una visione distaccata e serena. A favorire un’eccellente conoscenza ci pensano gli altri, vale a dire le persone che s’incontrano. Quasi sempre nel mio caso, oltre alle domande di rito, l’interesse si concentra sull’Italia, sull’intricata situazione pubblica nel Paese. Che succede con la giustizia? È vero che stanno arrestando quel ministro? Oppure, veramente in Italia la magistratura sta facendo un colpo di Stato? E così via. È quanto mai importante, di conseguenza riflettere un momento sulla realtà nel suo complesso, cercando di trovare un filo logico.
Navarro-Valls esordisce parlando della preoccupante e invasiva presenza della criminalità organizzata del meridione d’Italia, e della diffusione di questi costumi dal sud al nord del paese: “dappertutto si rileva una crescita della distanza tra la vita concreta dei cittadini e la rettitudine delle norme giuridiche”. Poi descrive la situazione del paese attraverso l’analisi di due fenomeni, incisivi e opposti. Il primo è quello che Navarro-Valls chiama “un certo dinamismo personale” da parte della classe dirigente del paese, che fa un po’ quel che le pare, anche perché costretta da un sistema legale obsoleto.
Per capire si può ricorrere ad un esempio storico molto emblematico. Il Codice delle leggi di Giustiniano non servì nel VI secolo soltanto a restaurare le norme del diritto romano, ma a rinnovare e ad adattare la giurisprudenza alla nuova situazione barbarica. Non a caso Dante Alighieri riconobbe il merito dell’Imperatore orientale di aver eliminato dalla giurisprudenza antica «il troppo e il vano». Calato all’oggi, se la società cambia e le leggi no, il confine tra il lecito e il legale s’ispessisce. Diventa sempre più difficile nel concreto agire con la consapevolezza di essere formalmente, oltre che materialmente, nel giusto. La conseguenza è che si crea un vortice di ricattabilità delle persone che oltrepassa il morale e l’etico, divenendo un’intimidazione implicita ad assumere ruoli e compiti di responsabilità. Perché, ad esempio, qualcuno di onesto dovrebbe occuparsi della cosa pubblica se i rischi che corre sono, di fatto, favoriti dalle leggi stesse?
Il secondo fenomeno sarebbe la “pulsione giustizialista molto forte”, che influenza l’andamento della democrazia.
In tal senso, si è creato un incedere parallelo tra le campagne mediatiche di qualsiasi colore e la disponibilità di dati e informazioni personali riservate, come le intercettazioni telefoniche, che non dovrebbero essere divulgati alla pubblica opinione.
Qui c’è una cosa piuttosto rilevante, da parte di Navarro-Valls: innanzitutto la difesa del diritto dei giornalisti – definito “sacrosanto” – di utilizzare le informazioni che ricevono e quindi le intercettazioni. Poi però la richiesta che vengano individuati i responsabili delle fughe di notizie – “chi risarcisce un malcapitato per lo sputtanamento subito?” – e da qui la necessità di mettere un argine legislativo alla spettacolarizzazione del sistema giuridico. Una legge sulle intercettazioni, insomma: che non metta a repentaglio la libertà dei giornalisti ma punisca severamente le fughe di notizie, con la speranza che basti a normalizzare il dibattito italiano e difendere “l’onorabilità pubblica delle persone”.
L’Italia ha un sistema della giustizia molto garantista. Non mi riferisco soltanto ai tre gradi di giudizio richiesti per la condanna o l’assoluzione di un imputato, ma in genere alle sanzioni e alle pene comminate. Non sussistono, pertanto, rischi di una tendenza degenerativa verso lo Stato di Polizia. Malgrado ciò, tuttavia, vi sono effettivamente pochi ed efficaci strumenti legali in difesa dell’onorabilità pubblica delle persone. Le inchieste giudiziarie, ben inteso, sono di straordinaria importanza. Non sarebbe assolutamente legittimo chiudere gli occhi davanti alla corruzione e agli illeciti senza perdere istantaneamente le condizioni minime di diritto necessarie per vivere in democrazia, fondate per l’appunto su una forte magistratura inquirente e giudicante.
Il problema semmai è un altro. Quando l’onestà e la legalità si trasformano da criteri legali e da virtù umane basilari in icone ideologiche, allora tutto cambia. Non abbiamo più, difatti, una correzione degli eccessi e una punizione dei rei, ma l’adozione di un metodo estremista le cui conclusioni sono le lapidazioni in pubblica piazza e la gogna mediatica. Alla fine, se l’abuso del diritto alla riservatezza diviene legittima illegalità, ecco che il giustizialismo si trasforma ineluttabilmente in abuso di potere. E il risultato finale è senza eccezione il conflitto istituzionale, la crisi della politica e la perdita di fiducia dei cittadini.