Io non sono Neda Soltan
La sua foto è diventata per errore il simbolo della protesta contro il regime iraniano
di Elena Favilli
Durante le proteste in Iran del giugno 2009 a un certo punto in rete iniziò a girare molto un video, fino a diventare il simbolo della protesta contro la violenza repressiva del regime di Ahmadinejad. Mostrava gli ultimi momenti di vita di una giovane donna colpita da un proiettile della polizia iraniana. La donna era stesa a terra, gli occhi ancora aperti e i fiotti di sangue che uscivano copiosi dal naso e dalla bocca. Tra gli uomini che cercarono di soccorrerla inutilmente ce n’era uno che urlava disperato il suo nome: Neda, Neda.
Appena il video fu diffuso su internet la stampa internazionale cercò di capire chi fosse quella donna, il cui nome era ormai urlato da tutti durante le proteste che continuavano per le strade della città. Il suo nome era Neda Agha-Soltan, aveva 26 anni e studiava alla Islamic Azad University di Teheran. La stessa università in cui un’altra Neda, Neda Soltani, lavorava come insegnante di inglese. La storia di Zahra Soltani, conosciuta da tutti come Neda Soltani, è la storia di una donna di 33 anni che per uno sfortunato caso di omonimia si è ritrovata simbolo involontario della protesta contro il regime di Ahmadinejad. E che per questo è stata costretta a fuggire dal proprio paese, lasciare la sua famiglia e il suo lavoro e vivere rifugiata in Germania. Il New York Times ne parla in un lungo articolo.
«Ero molto sorpresa», racconta «quando controllai la mia mail il 21 giugno trovai più di 60 richieste di amicizia su Facebook da persone di tutte il mondo». Nei giorni successivi il numero continuò a salire, Neda e sua madre non si rendevano conto finché non videro la sua foto in un servizio in televisione. Per tutto il mondo era lei la donna uccisa durante le proteste dal regime iraniano. Cercò di mettersi in contatto con i media per spiegare che c’era stato un errore, ma anche quando le foto della vera Neda iniziarono a circolare la sua foto continuava ad essere associata a quell’episodio. Il 24 giugno l’intelligence iraniana era già sulle sue tracce.
La polizia iraniana andò a prenderla a casa pochi giorni dopo per un primo interrogatorio. Le chiesero di dire davanti a una telecamera che era viva e che quel video era solo una montatura dei media occidentali. «Volevano usarmi per denunciare la morte di Neda, volevano sfruttare la mia visibilità in quel momento per dire al mondo che si trattava solo di una mezogna, che Neda era viva. Volevano anche che condannassi i cospiratori occidentali per quello che avevano cercato di fare». Al New York Times ha raccontato che alcuni degli uomini che l’hanno interrogata erano armati e che la minacciavano, «farai meglio a fare quello che ti chiediamo», le dicevano.
Alcuni giorni dopo tornarono di nuovo a prenderla a casa e di nuovo la interrogarono a lungo cercando di convincerla a confessare. «È molto comune che le autorità iraniane costringano qualcuno a fare una confessione falsa, per poi magari trasmetterla in tv o tenerla da parte come arma di ricatto», spiega. Il primo luglio la polizia la interrogò di nuovo: aveva saputo che si era rivolta ad alcune organizzazioni umanitarie internazionali per chiedere aiuto e l’accusava di essere una spia. Il giorno dopo decise di scappare.
«Avevo solo uno zaino, un computer e una borsetta», racconta. Rimase in Turchia per nove giorni, poi si spostò in Grecia e da lì in Germania, dove arrivò a metà luglio. Enrico Manthey, un portavoce dell’ufficio immigrazione tedesco ha detto che le autorità si convinsero subito della sua storia: il racconto di come venivano condotti gli interrogatori corrispondeva a molti altri racconti di persone che a loro volta erano state interrogate dalle autorità iraniane.
Ora Neda Soltani vive in un paese vicino a Francoforte – di cui preferisce non dire il nome – è disoccupata e dice di sentire molto la mancanza del suo lavoro e della sua famiglia. Prima di quel giorno, non aveva mai pensato di lasciare l’Iran. «Soffro molto di nostalgia, la mia vita mi piaceva prima che iniziasse quest’incubo». Tutt’oggi la sua foto continua ad apparire associata alla storia di Neda Soltan, la ragazza di 26 anni uccisa mentre manifestava disarmata per le strade di Teheran.