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  • Mercoledì 28 luglio 2010

I destini del Riformista

Mentre la proprietà cerca di comprarsi la Roma e la Gazzetta del Mezzogiorno, al quotidiano di Antonio Polito i conti non tornano

© MARCO MERLINI / LAPRESSE
10-02-2004 ROMA
POLITICA
SALA UMBERTO - TAVOLA ROTONDA ORGANIZZATA DA "IL RIFORMISTA"
NELLA FOTO ANTONIO POLITO
© MARCO MERLINI / LAPRESSE 10-02-2004 ROMA POLITICA SALA UMBERTO - TAVOLA ROTONDA ORGANIZZATA DA "IL RIFORMISTA" NELLA FOTO ANTONIO POLITO

Il primo numero del Riformista uscì il 23 ottobre del 2002, con grande attenzione degli addetti ai lavori dei mezzi di informazione e della politica. Il successo recente del Foglio – successo in termini di considerazione e presenza nel dibattito politico e di qualità dei contenuti – rendeva interessante il tentativo di fare un altro piccolo quotidiano politico d’opinione, stavolta posizionato a sinistra ma con simile inclinazione all’indipendenza e varietà di vedute. Il direttore e cofondatore era Antonio Polito, che si era fatto apprezzare come giornalista e inviato di Repubblica, e il giornale godeva della paterna attenzione e collaborazione di Emanuele Macaluso, stimatissimo ex leader comunista e intellettuale di sinistra riformista, appunto. E per un po’, l’idea sembrò funzionare: con l’aiuto di Claudio Velardi e di un gruppo di ex-dalemiani (nonché dello stesso D’Alema, si è sempre detto), il Riformista guadagnò attenzione e seguito nella discussione politica, e un soddisfacente numero di lettori per legittimare le sovvenzioni pubbliche ottenute in quanto giornale di una cooperativa e organo di un microgruppo politico, come molte altre testate. Le pagine da quattro crescono spesso fino a otto.

Poi l’attenzione alla novità comincia a diminuire, nel 2006 Polito lascia la direzione per entrare in parlamento, il quadro politico diventa meno interessante e il Riformista perde un po’ di smalto: lo dirigono prima Stefano Cingolani, e poi Paolo Franchi, senza riuscire a sfruttare quanto Polito la personalizzazione del giornale.
Nel 2006  il Riformista è stato intanto comprato dalla famiglia Angelucci, molto attiva sul fronte dei giornali – possiede già Libero – e molto discussa sul piano di spregiudicatezze politiche e affaristiche: tra seggi in parlamento col PdL, amicizie nel PD, e cliniche in mezza Italia. Nel 2008 gli Angelucci richiamano Polito e rilanciano il giornale con ambizioni di farlo diventare “un vero quotidiano”, generalista, a 32 pagine, full color, nuovi collaboratori di fama, competitivo. E siamo quindi ai giorni nostri, raccontati stamattina dal quotidiano Italia Oggi. L’operazione nelle sue intenzioni non è riuscita: la spinta generalista del Riformista è stata parzialmente ridimensionata tornando a un approccio prevalentemente – ma non solo – politico, le pagine sono state dimezzate a 16. Le vendite in edicola sono state insoddisfacenti – Italia Oggi arriva a sostenere si tratti di 1850 copie, ma al Riformista negano -, il quadro politico della sinistra (quella non antiberlusconiana tout court, poi) non è mai stato così poco stimolante, ma soprattutto grava sul giornale il problema delle mancate sovvenzioni pubbliche.

Che non è soltanto il problema che riguarda molti altri quotidiani che ne sarebbero destinatari e che sono in affanno, di cui si parla spesso. Il Riformista manca dei contributi dei due anni precedenti, non pagati per contestazioni formali sulla loro liceità, vicenda a cui non è estranea una battaglia intorno al ruolo degli Angelucci (molto presenti nei rapporti politici: Italia Oggi sostiene per esempio che il loro tentativo attuale di comprare la Gazzetta del Mezzogiorno avrebbe l’appoggio di Nichi Vendola e l’opposizione di Walter Veltroni). I quali intanto si starebbero comprando pure la Roma.

Secondo Italia Oggi si discuterebbe in queste settimane un ulteriore ridimensionamento del progetto editoriale, che riporterebbe il giornale a otto pagine, riducendo i costi. Ma l’impressione è che non sia il progetto editoriale a poter influire sulle sorti del Riformista, quanto un complessivo contenimento dei costi (risparmi sul personale, scadenza dei contratti a termine) e lo sblocco dei contributi arretrati, che sembra stare – come l’autonomia del Riformista – dentro una partita più grande.