I destini del Riformista
Mentre la proprietà cerca di comprarsi la Roma e la Gazzetta del Mezzogiorno, al quotidiano di Antonio Polito i conti non tornano
Il primo numero del Riformista uscì il 23 ottobre del 2002, con grande attenzione degli addetti ai lavori dei mezzi di informazione e della politica. Il successo recente del Foglio – successo in termini di considerazione e presenza nel dibattito politico e di qualità dei contenuti – rendeva interessante il tentativo di fare un altro piccolo quotidiano politico d’opinione, stavolta posizionato a sinistra ma con simile inclinazione all’indipendenza e varietà di vedute. Il direttore e cofondatore era Antonio Polito, che si era fatto apprezzare come giornalista e inviato di Repubblica, e il giornale godeva della paterna attenzione e collaborazione di Emanuele Macaluso, stimatissimo ex leader comunista e intellettuale di sinistra riformista, appunto. E per un po’, l’idea sembrò funzionare: con l’aiuto di Claudio Velardi e di un gruppo di ex-dalemiani (nonché dello stesso D’Alema, si è sempre detto), il Riformista guadagnò attenzione e seguito nella discussione politica, e un soddisfacente numero di lettori per legittimare le sovvenzioni pubbliche ottenute in quanto giornale di una cooperativa e organo di un microgruppo politico, come molte altre testate. Le pagine da quattro crescono spesso fino a otto.
Poi l’attenzione alla novità comincia a diminuire, nel 2006 Polito lascia la direzione per entrare in parlamento, il quadro politico diventa meno interessante e il Riformista perde un po’ di smalto: lo dirigono prima Stefano Cingolani, e poi Paolo Franchi, senza riuscire a sfruttare quanto Polito la personalizzazione del giornale.
Nel 2006 il Riformista è stato intanto comprato dalla famiglia Angelucci, molto attiva sul fronte dei giornali – possiede già Libero – e molto discussa sul piano di spregiudicatezze politiche e affaristiche: tra seggi in parlamento col PdL, amicizie nel PD, e cliniche in mezza Italia. Nel 2008 gli Angelucci richiamano Polito e rilanciano il giornale con ambizioni di farlo diventare “un vero quotidiano”, generalista, a 32 pagine, full color, nuovi collaboratori di fama, competitivo. E siamo quindi ai giorni nostri, raccontati stamattina dal quotidiano Italia Oggi. L’operazione nelle sue intenzioni non è riuscita: la spinta generalista del Riformista è stata parzialmente ridimensionata tornando a un approccio prevalentemente – ma non solo – politico, le pagine sono state dimezzate a 16. Le vendite in edicola sono state insoddisfacenti – Italia Oggi arriva a sostenere si tratti di 1850 copie, ma al Riformista negano -, il quadro politico della sinistra (quella non antiberlusconiana tout court, poi) non è mai stato così poco stimolante, ma soprattutto grava sul giornale il problema delle mancate sovvenzioni pubbliche.
Che non è soltanto il problema che riguarda molti altri quotidiani che ne sarebbero destinatari e che sono in affanno, di cui si parla spesso. Il Riformista manca dei contributi dei due anni precedenti, non pagati per contestazioni formali sulla loro liceità, vicenda a cui non è estranea una battaglia intorno al ruolo degli Angelucci (molto presenti nei rapporti politici: Italia Oggi sostiene per esempio che il loro tentativo attuale di comprare la Gazzetta del Mezzogiorno avrebbe l’appoggio di Nichi Vendola e l’opposizione di Walter Veltroni). I quali intanto si starebbero comprando pure la Roma.
Secondo Italia Oggi si discuterebbe in queste settimane un ulteriore ridimensionamento del progetto editoriale, che riporterebbe il giornale a otto pagine, riducendo i costi. Ma l’impressione è che non sia il progetto editoriale a poter influire sulle sorti del Riformista, quanto un complessivo contenimento dei costi (risparmi sul personale, scadenza dei contratti a termine) e lo sblocco dei contributi arretrati, che sembra stare – come l’autonomia del Riformista – dentro una partita più grande.