I guai dello Yemen
Dalla fine della dominazione coloniale inglese nel sud del paese, lo Yemen ha vissuto un quarantennio di conflitti che hanno raramente attirato l'attenzione dell’opinione pubblica e delle diplomazie internazionali
di Roberto Roccu
«E meno male che il qat li tiene buoni, altrimenti chissà che combinerebbero queste teste calde» è da tempo una delle battute più comuni tra i vicini mediorientali, in riferimento al costume yemenita di masticare le foglie della pianta. E non è difficile prevedere che la battuta riprenderà quota nelle prossime settimane. Gli ultimi giorni hanno infatti visto la riapertura delle ostilità su entrambi i fronti su cui è impegnato il governo di Sana’a: al sud contro la frangia di Al Qaeda nella penisola arabica (AQAP, Al Qaeda in the Arabian Peninsula), ed al nord contro la tribù dei ribelli sciiti Houthi.
Lo Yemen è il paese più povero del Medio Oriente, nonostante una ragguardevole quantità di petrolio estratto, un territorio ben più fertile di quello dei vicini, ed una posizione geografica invidiabile: storico punto di passaggio tra corno d’Africa, penisola arabica e subcontinente indiano, che si è meritato l’appellativo latino di Arabia Felix. Dalla fine della dominazione coloniale inglese nel sud del paese, lo Yemen ha vissuto un quarantennio di conflittualità – latente o manifesta – che nonostante sia stato trattato ampiamente da numerosi arabisti ha solo sporadicamente attirato le attenzioni dell’opinione pubblica e delle diplomazie internazionali.
Durante la guerra fredda lo Yemen faceva parte della nostra topografia quotidiana, al centro di una “guerra per procura”, come la chiamano gli anglofoni, tra le due superpotenze: da una parte il nord tradizionalista, organizzato su base tribale e fortemente ancorato ai vicini sauditi ed al blocco occidentale, e dall’altra parte un sud in mano ai sedicenti marxisti del Partito Socialista Yemenita e abbondantemente foraggiato dall’Unione Sovietica. La disintegrazione di quest’ultima portò nel 1990 alla riunificazione del paese sotto il controllo dello Yemen settentrionale, e allo spegnersi dei riflettori globali, ma non alla fine dei conflitti interni. Anche la guerra civile conclusasi nel 1994 tra le esigue file dei ribelli marxisti al sud e le forze governative al nord passò relativamente inosservata. E solo lo sbarco di Al Qaeda negli ultimi anni è riuscito a riportare lo Yemen nell’alveo delle zone calde di cui è bene sapere qualcosa.
E nell’ultima settimana i militanti di Al Qaeda hanno portato due attacchi alle forze governative nella provincia di Shabwa, una delle aree del paese con la maggiore concentrazione di pozzi petroliferi, ritenuto dalle forze governative covo principale di Al Qaeda nella penisola arabica. Come riportato dal quotidiano di Abu Dhabi The National, giovedì scorso un attacco nei pressi di un impianto petrolifero gestito da una compagnia austriaca ha portato all’uccisione di sei poliziotti, mentre domenica un’imboscata ai danni di una pattuglia della polizia ha fatto sei vittime tra le forze governative e tre tra i militanti islamici.
Ma i fondamentalisti affiliati ad Al Qaeda non sono l’unico nemico interno per il governo centrale. Nella provincia settentrionale di ‘Amran, il governo deve fronteggiare dal 2004 gli attacchi sporadici degli Houthi, tribù appartenente alla setta sciita degli Zaidi, che affermano di essere sistematicamente discriminati a livello politico, economico e legale. Nel febbraio scorso il governo centrale sembrava aver raggiunto un importante obiettivo, firmando una tregua con gli Houthi che però è stata interrotta nella scorsa settimana, con l’uccisione di almeno settanta persone tra ribelli Houthi e forze governative, supportate da altre tribù presenti nell’area: in particolare dalla tribù Ibn Aziz, anch’essa appartenete agli Zaidi e con legami di sangue neanche troppo tenui con gli Houthi stessi. Una vera e propria lotta fratricida.