Viaggio a Kragujevac
Nella città serba dove la Fiat potrebbe trasferire parte della produzione operai e autorità sperano nei nuovi investimenti
Radisa Sreckovic ha 47 anni e costruisce automobili da 23 anni. L’operaio serbo lavorava per la Zastava e ora per la Fiat, che ne ha rilevato buona parte delle attività. Nella sua piccola casa di Velico Krcmare, a 25 km da Kragujevac dove l’azienda torinese vuole spostare parte della propria produzione, Radisa vive con la moglie, le sue due figlie e la madre. Fino allo scorso gennaio ha lavorato alla catena di assemblaggio della Punto sopportando orari massacranti per una paga molto bassa.
Maria Serena Natale del Corriere della Sera è andata a Kragujevac, la Detroit in versione serba, e ha raccolto la testimonianza di Radisa:
«Oggi ci propongono condizioni di lavoro disumane. Troppe pressioni, si lavora dal lunedì al venerdì in due turni di otto ore, due pause di dieci minuti e mezz’ora per pranzo. In futuro ci sarà un tetto di 120 auto prodotte in un giorno e se a fine giornata non si raggiunge l’obiettivo, si resta. Lo stipendio doveva essere 40 mila dinari, circa 400 euro, non siamo arrivati a 30 mila. Un chilo di pane costa 35 centesimi e lo stipendio di un professionista raramente supera i 500 euro, ma far studiare i figli costa. Mia moglie è insegnante e guadagna 400 euro al mese, la nostra figlia maggiore è andata al mare la prima volta l’anno scorso.»
La storia di Radisa è simile a quella di centinaia di altri operai dell’area di Kragujevac, in attesa di nuove opportunità per non perdere il posto di lavoro e portare a casa qualche soldo in più. La città che potrebbe strappare a Torino la produzione dell’erede della Multipla dista 140 km da Belgrado e può essere raggiunta con l’autostrada a due corsie che dalla capitale serba porta a Skopje-Salonicco. Tra un monastero ortodosso e la fitta vegetazione delle foreste della Sumadija, Kragujevac si presenta come un cantiere aperto, spiega Natale, «una distesa di palazzoni socialisti, impalcature e bar con i tavolini bruciati dal sole rallegrata da qualche vecchia Zastava color ruggine, superstiti 128, mitiche Yugo».
Alcuni degli impianti nella zona fecero la storia industriale della Jugoslavia comandata da Tito, ma molti stabilimenti furono danneggiati dai bombardamenti della NATO del 1999. I raid aerei distrussero alcune fabbriche, ma il distretto rimase uno dei più importanti centri di produzione dell’auto nell’Europa orientale. E la speranza, a distanza di tanti anni, è quella di ripetere quell’esperienza e rendere Kragujevac «il maggior polo di attrazione di tutto l’Est per gli investimenti in auto e componentistica», come spiega Nebojsa Zdravkovic, il vicesindaco della città che conta quasi 180 mila abitanti.
«Il contratto fissa il traguardo di 2.400 assunti e 200 mila vetture prodotte in un anno a partire dal 2012 – spiega il vice sindaco – un ritorno all’epoca d’oro, quando quasi ogni famiglia aveva un membro alla Zastava, non mi dispiacerebbe che anche i miei figli lavorassero qui. Il processo ormai è avviato.»
La città non vuole perdere l’occasione ipotizzata da Sergio Marchionne, l’amministratore delegato di Fiat, per aumentare la produzione in Serbia. Il paese ha messo a disposizione accordi vantaggiosi per la società di Torino, ha messo in campo 200 milioni di investimenti solo per rimettere in sesto gli impianti e ha anche pensato ai benefici fiscali. L’amministrazione locale pensa anche a un monumento da dedicare alla Fiat: un’automobile su una piattaforma girevole all’ingresso della città.
Spostare parte della produzione da Torino a Kragujevac significherebbe mettere in difficoltà gli operai di Mirafiori. Boris Djoric, operaio Fiat Automobili Srbija, spiega oggi a Repubblica di esserne consapevole:
«Capisco i miei colleghi italiani. Siamo tutti sulla stessa barca, spero alla fine ci sia lavoro per tutti. Ma per me è la fine di un incubo. Tutto è iniziato ad andare male con le sanzioni a inizio anni ’90. Ho visto gli aerei NATO bombardare la fabbrica dove lavoravo. E nel ’95 sono rimasto senza lavoro. Come ho fatto a campare? Mi sono arrangiato. Ho vissuto per oltre 10 anni con un assegno mensile di 16 mila dinari (150 euro) garantiti dallo Stato. Ho arrotondato vendendo metallo e macchinari recuperati nelle fabbriche distrutte. Ho avuto qualche impiego saltuario nell’edilizia.»
Boris ha quasi 50 anni e dopo un periodo molto difficile, lo scorso gennaio ha scoperto di essere nella lista dei primi mille impiegati che Fiat intende assumere nella zona: a questi se ne aggiungeranno altri 1.500 entro il 2012, sostengono le autorità locali, fiduciose di rilanciare la produzione e arrivare alle 220 mila vetture prodotte l’anno come venti anni fa. Il pensiero che Marchionne stia solamente giocando al rialzo per ottenere qualche concessione in più in Italia fa parte del rimosso: nessuno in Serbia sembra volerci davvero pensare.