Il Post di Arianna
È la nuova baronessa dei media americani, il suo sito ha rivoluzionato il modo di fare giornalismo online
La storia di Arianna Huffington è una di quelle che fanno perdere la testa a chi si occupa di media e giornalismo. Nata il 15 luglio 1950 in Grecia con il nome di Arianna Stassinopoulos, andò a studiare in Inghilterra e poi si trasferì negli Stati Uniti dove incontrò e sposò il ricchissimo petroliere Michael Huffington, repubblicano amico dei Bush. Iniziò la sua carriera come editorialista di orientamento conservatore, e divenne molto popolare per il suo impegno durante la corsa alla Camera dei Rappresentanti del marito nel 1992. Alla fine degli anni novanta iniziò a spostarsi a sinistra, e la sua popolarità continuò a crescere: radio, tv, giornali, anche qualche apparizione in alcune serie televisive. Nel frattempo si era separata dal marito, che poco dopo dichiarò di essere bisessuale, di cui decise di tenere il cognome. Nel 2003 si candidò contro Arnold Schwarzenegger alle elezioni per governatore della California. Nel 2005 ha fondato lo Huffington Post, il sito di news che in pochissimo tempo ha rivoluzionato il modo di fare giornalismo online. Oggi è considerata la regina indiscussa del nuovo panorama mediatico americano. Newsweek l’ha intervistata la mattina del suo sessantesimo compleanno, nel suo ufficio newyorchese di SoHo.
Mentre sorseggia un bicchiere di San Pellegrino e smangiucchia qualche fetta di mela, i suoi collaboratori entrano ed escono dal suo ufficio portandole cioccolatini, messaggi e un BlackBerry con l’ex marito in linea. Arianna ha appena parlato a una conferenza sull’advertising online: tiene più di cento discorsi all’anno, rivolgendosi alle audience più diverse che in lei vedono il patrono dei nuovi media, la regina dei blogger, quella che ce l’ha fatta a capire quale sarà il futuro del giornalismo.
Se si dovesse decretare un vincitore tra i media presenti su internet oggi, scrive Newsweek, sarebbe sicuramente lei. Il suo sito, lo Huffington Post, ha attirato 24,3 milioni di visitatori unici solo a giugno, cinque volte in più della maggior parte dei suoi rivali, più del Washington Post e di USA Today e quasi quanto il New York Times. Quest’anno lo Huffington Post guadagnerà circa 30 milioni di dollari, noccioline in confronto ai ricavi dei dinosauri della vecchia industria dei media, ma molto meglio di quanto non stiano facendo la maggior parte dei suoi competitor digitali. Il che non vuol dire che per lo Huffington Post sia tutto facile, anzi.
Guardando più da vicino il suo modello di business, si riesce facilmente a capire quanto il futuro del giornalismo sia difficile. Lo Huffington Post ha un grosso pubblico, ma come la maggior parte dei siti, non riesce a monetizzarlo al meglio. Al momento, produce un guadagno di poco più di un dollaro per lettore all’anno. Niente in confronto alle industrie mediatiche tradizionali che spera di rimpiazzare. I network televisivi e la carta stampata collezionano centinaia di dollari all’anno da ogni abbonato e questo a sua volta genera centinaia di milioni di ricavi dalla pubblicità. Ok, il paragone non è perfetto – tv e giornali hanno costi fissi più alti dei siti web – ma dà lo stesso un senso di quanto le cose stiano cambiando radicalmente.
La verità è che gli inserzionisti vogliono mettere i loro messaggi online, ma non sono disposti a pagare molto perché la pubblicità online negli ultimi anni ha deluso buona parte delle attese.
Le pubblicità online è in calo da dieci anni e nessuno si aspetta che tornerà mai sui valori iniziali. Il CEO dello Huffington Post, Eric Hippeau, spiega che loro possono chiedere di più agli inserzionisti perché offrono un’esperienza di lettura migliore al loro pubblico. Nonostante questo, anche lo Huffington Post – come la maggior parte delle imprese editoriali online – deve trovare un modo per acquistare contenuti a basso costo. Tenere bassi i costi significa avere contributi gratis, aggregare articoli provenienti da altri siti e coinvolgere gli stessi lettori nella produzione di contenuti, cosa che l’Huffington Post fa con i suoi 6.000 blogger non retribuiti.
In questo nuovo scenario dai margini di guadagno così bassi, spiega Newsweek, sono i siti che operano su vasta scala ad avere i vantaggi maggiori. Google guadagna miliardi di dollari mostrando un’infinità di inserzioni pubblicitarie a basso costo. Per questo ora anche altri giganti di internet come AOL e Yahoo stanno assumendo sempre più spesso giornalisti freelance che per pochi dollari scrivono storie sulla base delle parole chiave più popolari nei motori di ricerca.
Come ha fatto allora lo HuffPo ha spingersi così in là? La disponibilità economica è una risposta. Ma un’altra spiegazione è la velocità con cui è capace di abbracciare le nuove tecnologie. La linfa vitale di un grande sito web è il cosiddetto “content management system” – il CMS – con cui ci si riferisce all’insieme dei programmi software con cui si gestisce la pubblicazione dei contenuti. Lo Huffington Post ha uno dei migliori e più avanzati sistemi di gestione di contenuti, in continua evoluzione. Ha trenta dipendenti tecnologici sparsi in giro per il mondo – Stati Uniti, Ucraina, India, Cile, Filippine e Vietnam – il che gli permette di avere un team di sviluppatori disponibile 24 ore al giorno. È questo sistema che permette ai redattori dello HuffPo di inventarsi nuovi modi di raccontare le storie, mixando link, video, slidesohw, commenti e aggregando pezzetti di contenuti di altri siti. Il tutto con l’aggiunta di qualche contenuto originale prodotto dai giornalisti dell’HuffPo. E il tutto misurando attentamente il traffico e valutando cosa funziona e cosa no.
Così mentre alcuni giornalisti vanno in giro a raccogliere storie e intervistare persone, il resto dello staff sta seduto a una lunga scrivania nella redazione di New York cercando di intercettare le storie più accattivanti dagli altri siti web. E ovviamente per storie si intende anche foto di Leonardo di Caprio a torso nudo e video di giocatori di baseball colpiti dalla palla ad altezza inguinale. Il boxino morboso, insomma. Poi ci sono i redattori che si occupano di monitorare costantemente quali parole chiave vengono cercate con più frequenza nei motori di ricerca, e che sfornano storie che cercano di rispondere a quelle domande. L’anno scorso uno di loro si rese conto che gli americani tendevano a sbagliare lo spelling di “Nobel” nelle ricerche online sul premio ottenuto dal presidente Obama: e inserì così la scrittura errata “noble” tra le parole chiave degli articoli dedicati a quella notizia, ottenendone moltissimi lettori in più.
Le storie possono essere scritte da uno dei redattori dell’HuffPo, possono essere prese da qualche altro sito o semplicemente essere un mix di entrambe le cose. Il trucco è titolarle in modo da farle subito schizzare in alto nei risultati dei motori di ricerca, un’arte in cui l’Huffington Post è quasi imbattibile.
Arianna riconosce l’importanza della tecnologia, ma insiste a dire che non c’è niente che possa battere il lavoro di editing fatto dai suoi redattori. È orgogliosa dei contenuti originali che riescono a produrre e spiega il successo della sua avventura con il fatto che fin dall’inizio ha cercato di seguire le storie con passione e con un punto di vista ben preciso. «Abbiamo un atteggiamento molto chiaro» dice «sulla guerra in Afghanistan, per esempio, abbiamo detto fin dall’inizio che era una guerra non necessaria».
E poi ci sono i commenti, che sullo Huffington Post raggiungono a volte cifre sconsiderate.
Capita che una sola storia possa avere anche più di 5.000 commenti, un pezzo recente che parlava della possibile candidatura di Jeb Bush alle prossime elezioni presidenziali ne ha avuti addirittura 8.000. Il mese scorso il sito ha avuto in totale 3.1 milioni di commenti. I commenti sono sempre moderati, il che vuol dire che ci sono sempre almeno venti persone che si occupano solo di quello. «La libertà di espressione ormai è diventata una nuova forma di intrattenimento» spiega Arianna Huffington «le persone non vogliono solo consumare informazione, vogliono partecipare: riconoscere questo impulso è il futuro del giornalismo». E infatti ultimamente lo Huffington Post ha iniziato a definirsi anche come un social network oltre che un giornale. «Facciamo social news», dice Arianna. Le persone infatti non vanno sullo HuffPo solo per leggere una storia, ma per parlarne, commentarla e restare lì nei dintorni. Engagement, nel gergo di internet. Un fattore che attrae moltissimo gli inserzionisti.
Nessuno sa di preciso che cosa preveda Arianna Huffington per il futuro del suo sito. Voci dicono che ci potrebbero essere delle offerte in ballo da parte di MSNBC e Yahoo!. Altri sostengono invece che lo Huffington Post starebbe per iniziare a vendere azioni. Il CEO Hippeau non commenta, e continua solo a ripetere che stanno cercando di costruire un’azienda solida e indipendente. E che sono solo all’inizio, perché il web è ancora molto giovane e il potenziale è tutto di là da venire.
I segnali degli ultimi mesi sembrano dargli ragione. Lo scorso trimestre il New York Times ha generato 50 milioni di dollari di ricavi dalla pubblicità online con un’audience che non è troppo più grande di quella dell’HuffPo. Una cifra del genere significa 200 milioni di dollari all’anno, contro i 30 dell’HuffPo. Un ottimista direbbe che questo significa che l’Huffington Post ha margini di crescita molto ampi. Arianna, da parte sua, non mostra nessun segno di preoccupazione. Sta diventando la nuova baronessa dei media, una moderna Citizen Kane. E le piace da matti. Come biasimarla?