Cosa si dice dei “diari della guerra”
"I documenti accelereranno sicuramente la sensazione che lo sforzo della guerra non sia ancora sostenibile per molto", scrive Time
Domenica sera, poco prima di mezzanotte, ora italiana, il New York Times, il Guardian e lo Spiegel hanno pubblicato online una serie di articoli basati su 92 mila documenti riservati sulla guerra degli Stati Uniti e della NATO in Afghanistan, ottenuti e ora resi pubblici da Wikileaks, un’organizzazione che si occupa di pubblicare e dare a chiunque libero accesso a documenti segreti. Come prevedibile, oggi tutti i giornalisti delle altre testate americane (e non) hanno iniziato a scavare nei documenti e tratto le loro conclusioni sullo scoop di Wikileaks, sugli articoli dei colleghi, e sulle loro possibili conseguenze.
Daily Beast si concentra quasi completamente su una delle tracce principali degli articoli del New York Times: i rapporti del governo pakistano, alleato degli Stati Uniti, con i talebani.
Si può dire che questi documenti avranno come conseguenza positiva — una conseguenza così positiva che è valsa il “danno collaterale” agli Stati Uniti e a chiunque altro — la possibile fine del doppio gioco del Pakistan. Un doppio gioco con cui questo paese ha preso miliardi di dollari d’aiuti (soldi pagati, in parte, dalle tasse dei parenti dei soldati americani uccisi dai talebani) e poi li ha usati per pugnalarci alle spalle spensieratamente e terribilmente, armando, proteggendo, finanziando e nascondendo quelle stesse forze contro cui quel paese è in guerra. Li paghiamo in modo che possano aiutare i nostri nemici ad ucciderci.
Il Wall Street Journal fa notare come l’aspetto più importante della pubblicazione dei documenti potrebbe essere il suo profondo impatto sull’opinione pubblica e sulla sua “percezione della guerra”. Sono della stessa opinione Newsweek e Time: il secondo scrive infatti che, anche se nei documenti non ci dovesse essere niente di sensazionale, il rumore che hanno creato potrebbe bastare a rendere più viva l’attenzione sulla guerra e ancora più difficili le cose per la Casa Bianca.
A volte può essere chiarificante sentire verità dure non attraverso gli articoli dei giornalisti ma attraverso documenti reali di uomini e donne sul campo. In più, l’eccitazione dei media per i documenti — stiamo già leggendo dei paragoni con quelli rilasciati durante la guerra del Vietnam — influisce sullo shock dell’opinione pubblica: un altro brutto colpo per il fronte a favore della guerra. […] I documenti di Wikileaks accelereranno sicuramente la sensazione, sia nel paese che a Washington, che lo sforzo della guerra non sia ancora sostenibile per molto.
Come nel caso dell’inchiesta del Washington Post sull’intelligence americana pubblicata la settimana scorsa – e drammaticamente messa nell’ombra da ieri sera – ci sono poi gli scettici riguardo alla quantità di arrosto sotto il fumo dello scoop. Foreign Policy, tra gli altri, scrive che:
I documenti confermano quello che sapevamo già sulla guerra: sta andando male; il Pakistan non è il miglior alleato del mondo e sta probabilmente facendo il doppiogioco; le forze della coalizione sono responsabili dell’uccisione di troppi civili; gli Stati Uniti non hanno un’intelligence affidabile in Afghanistan.
L’Atlantic Monthly è solo in parte d’accordo con questa visione. Se infatti gli argomenti erano già noti, quello che riescono a fare i documenti di Wikileaks è fornire una quantità di dettagli, nomi e piccole storie che illustrano alla perfezione il declino della situazione della guerra e, in particolare, forniscono un’immagine chiara di quanto il generale Stanley McChrystal — dimessosi il mese scorso — abbia reso più dure le regole di ingaggio.
Il governo degli Stati Uniti valuterà la questione sotto diversi livelli. Uno è quello politico: le informazioni cambieranno la natura dei rapporti tra gli Stati Uniti e i suoi alleati, in particolare Francia e Polonia, che sono implicati in qualcuna delle morti di civili? La risposta è probabilmente no. Aumenterà lo scetticismo al Congresso? Assolutamente sì.
In molti — dal Washington Post a Daily Beast — si concentrano poi su Wikileaks, su quanto sia diventata potente, su quanto verrà sempre di più combattuta, e sul destino di Bradley Manning, il giovane dell’esercito americano detenuto e sospettato d’aver passato i 92 mila documenti e il video dell’attacco di Baghdad a Wikileaks. Scrive Salon:
Wikileaks ha dato ancora una volta prova di essere una delle più preziose e importanti organizzazioni del mondo. Come era vero per il video dell’attacco aereo a Baghdad, non esiste alcuna giustificazione per tenere segreti questi documenti. Ma questo è quello che la nostra Sicurezza Nazionale fa di riflesso: si nasconde dietro a un muro di segretezza per assicurarsi che i cittadini rimangano ignoranti su quello che sta davvero facendo. Wikileaks è una delle poche entità che stanno con successo abbattendo almeno qualcuno dei mattoni di quel muro, dandoci la possibilità di dare qualche piccola occhiata a quello che la settimana scorsa il Washington Post ha chiamato Top Secret America. Ora la guerra contro Wikileaks si intensificherà.
Il New Yorker risponde a un passaggio in particolare dell’articolo di commento del New York Times, in cui si afferma che a parte qualche eccezione i documenti non contraddirebbero i rapporti ufficiali sulla guerra.
Cosa significa dire la verità riguardo a una guerra? Per l’amministrazione è una bugia, tecnicamente parlando, dire di aver fede nel governo di Hamid Karzai e considerarlo un leader legittimo — o è semplicemente assurdo? È una bugia dire che abbiamo un piano preciso per l’Afghanistan? Se la si mette in questo modo, ognuno dei documenti di Wikileaks — dal racconto di uno scontro a fuoco tra la polizia afghana e l’esercito afghano, a poche righe riguardo un ufficiale locale che prende mazzette da 75 dollari, a un triste scambio su una truffa che coinvolge orfani — è un pixel in una fotografia che, sì, contraddice i rapporti ufficiali sulla guerra, e lo fa drasticamente.