Perché la Fiat va in Serbia
I giornali ricostruiscono le ragioni dell'annuncio che ha agitato la politica di ieri
Il Foglio condivide oggi in un editoriale le ragioni di Sergio Marchionne nella scelta di produrre la nuova monovolume Fiat in Serbia, e così le spiega.
Non si tratta del minore costo del lavoro serbo. Le multinazionali spesso investono in stati con alti costi della manodopera – Svezia, Germania, Svizzera – perché essi sono compensati da altri vantaggi. Ma l’Italia viene scartata. Non c’entra solo il precedente di Pomigliano d’Arco e la conflittualità sindacale. Nella graduatoria Doing Business della Banca mondiale, la Serbia è solo dieci posti indietro rispetto all’Italia, che si trova già nella parte bassa del- la classifica, al 78esimo posto. Ma quanto a “certezza dei contratti” Belgrado (97esima) fa meglio di noi che siamo al 156esimo posto, anche perché il nostro sistema giudiziario civile funziona malissimo. Senza contare poi il peso del fisco e della burocrazia. È così sorprendente che la multinazionale Fiat abbia scelto la Serbia?
Le ragioni del progetto serbo sono descritte in modo parzialmente simile ma assai più critico su Repubblica, dove Paolo Griseri ha intervistato Giorgio Airaudo, responsabile nazionale Fiom per il settore auto.
«In Serbia il salario mensile è di 400 euro», spiega il sindacalista italiano. Un salto notevole rispetto alle retribuzioni medie degli operai torinesi (1.100-1.200), una paga addirittura più bassa delle retribuzioni già misere della Polonia (meno di 600 euro mensili). Per arrivare a questi livelli in Italia bisogna sottoporsi a dosi massicce di cassa integrazione, così come è avvenuto da quando la crisi ha cominciato a mordere il mercato delle quattro ruote.
La paga mensile non è l’unico vantaggio del trasloco deciso da Marchionne. In base all’accordo firmato due anni fa dal governo di Belgrado e dal Lingotto, lo Stato paga la bonifica dello stabilimento e cede la proprietà alla Fiat. La bonifica è costosa. La fabbrica, la vecchia linea produttiva della Zastava, è stata bombardata dagli aerei Nato nel ’99, durante la guerra che divise l’ex Jugoslavia. Nell’area sono disperse 370 tonnellate di diossine e altri veleni. Dei 2.600 ex dipendenti della vecchia Zastava la Fiat ne ha assunti solo 1.000 lasciando gli altri a libro paga dello Stato serbo fino a quando la salita produttiva del nuovo modello non consentirà nuove assunzioni. Per ogni dipendente assunto la Fiat, in base all’accordo, riceve 10.000 euro di finanziamento pubblico. Inoltre per dieci anni il Lingotto non pagherà tasse né al governo di Belgrado né al comune di Kragujevac.
«Competere con questi costi per noi è impossibile. Chi potrebbe permettersi il lusso di lavorare per 400 euro al mese in Italia? In questa storia Pomigliano non c’entra un bel niente. Marchionne dica chiaramente quali sono i motivi del trasloco», si arrabbia Airaudo.
Nel commento di Luciano Gallino su Repubblica, però, la questione non si riduce al contenimento di costi. Ci sarebbero altre intenzioni più “politicamente” ambiziose e preoccupanti.
Portando la produzione da Mirafiori a Kragijevac, dove il costo del lavoro è meno della metà, la Fiat può quindi pensare di risparmiare al massimo tre o quattro punti sul costo totale. Ma se intende affrontare tutti i problemi sociali, sindacali e politici che dalla sua decisione deriverebbero per conseguire un risparmio così limitato, ciò significa che le sue previsioni di espansione produttiva, di vendite e di bilancio sono assai meno rosee di quelle che lo stesso amministratore delegato ha dato a intendere nei mesi scorsi. E questo dubbio ne alimenta un altro: che il vero obbiettivo non sia la riduzione del costo del lavoro, sebbene questo appaia evidente, bensì la realizzazione di una fabbrica dove regnano ordine, disciplina, acquiescenza assoluta agli ordini dei capi. Dove, in altre parole, il sindacato non solo assume vesti moderne, ma semplicemente non esiste, o non fiata. Magari ci verrà detto ancora una volta che questo è un obbiettivo che la globalizzazione impone. Può essere, anche se le pretese di quest´ultima cominciano ad apparire esagerate.
Ulteriori dettagli sono aggiunti sulla Stampa, dove coi toni ovviamente più disciplinati – diciamo – nei confronti dell’ad Sergio Marchionne e dell’azienda che guida, si dice:
La decisione su Kragujevac è presa, il piano di investimenti da 1 miliardo di euro avviato. I primi tecnici sono già stati spediti a preparare le linee che sforneranno le sostitute di Idea, Musa e Multipla.
Centonovantamila vetture l’anno della nuova L-0 che dalla fine del 2011 verranno prodotte in Serbia dalla Zastava.
Il Corriere della Sera segnala brevemente le reazioni dei giornali serbi al progetto.
La notizia che dall’inizio del 2012 Fiat produrrà in Serbia nuove versioni dei modelli Fiat Idea e Lancia Musa va in prima pagina non solo sui maggiori quotidiani di Belgrado ma anche su quelli locali. Una notizia che ha provocato immediatamente reazioni positive da parte del management serbo dello stabilimento di Kragujevac. «La decisione di Fiat di produrre qui questi due nuovi modelli conferma che vengono applicati tutti gli accordi stipulati con i partner italiani».
Ma se per il Foglio non è sorprendente, la notizia del trasloco non è per questo più tollerabile agli occhi della politica italiana, e degli interessi dei lavoratori e dell’economia nazionale che la politica dice di voler tutelare. E così, l’annuncio diffuso ieri dai giornali senza grande enfasi è diventato in serata un caso politico agguerrito.
E oggi le reazioni trovano invece molto più spazio di quello avuto dall’annuncio ieri.
Titola Repubblica: “Fiat in Serbia, coro di proteste”.
L’ipotesi di trasferire in Serbia le produzioni inizialmente previste a Mirafiori «non sta né in cielo né in terra. Se è una barzelletta, Marchionne sappia che non fa ridere nessuno». In assenza di un ministro dell’industria (Scajola non è stato ancora sostituito) tocca al leghista Roberto Calderoli fare la voce grossa con il Lingotto ripetendo le tesi tradizionalmente care al Carroccio: «Non si può pensare di sedersi a tavola, mangiare con gli incentivi e gli aiuti di Stato e poi alzarsi e andarsene senza nemmeno aver pagato il conto».
La reazione leghista si spiega anche con il fatto che lo sgarbo fatto a Mirafiori finisce per colpire l’immagine del governatore del Piemonte, Roberto Cota. Ma gli altri esponenti del governo non possono che seguire i colonnelli di Bossi. Il titolare del lavoro, Maurizio Sacconi, che pure aveva recentemente trovato un nuovo feeling con Sergio Marchionne nella comune battaglia contro la Fiom a Pomigliano, si vede costretto a chiedere alla Fiat «di riaprire quanto prima un tavolo per discutere insieme del progetto Fabbrica Italia secondo il modello già concordato a Pomigliano».
Il progetto serbo rischia di colpire in particolare Mirafiori e Torino, e la reazione del sindaco di Chiamparino ne è conseguenza.
«Sarebbe paradossale che fosse Torino a dover pagare la vicenda di Pomigliano. Ho sentito ancora recentemente Marchionne e mi aveva confermato gli impegni presi. Anche per questa ragione è indispensabile un chiarimento in tempi brevi»
Reazioni preoccupate anche dal segretario del PD Bersani e da quello della Cisl Bonanni. Ma Repubblica ricorda anche che “nonostante le polemiche la Borsa continua a premiare Marchionne. Ieri il titolo è salito del 2 per cento e ormai sfiora (a 9,87) la quota psicologica dei 10 euro, forte dei giudizi positivi degli analisti sugli effetti dello scorporo annunciato martedì notte”.
È quindi Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera a tirare le fila dell’improvvisa e spaesata agitazione di ieri.
La Borsa ha applaudito i disegni di Sergio Marchionne. Il resto dell’Italia no: partiti di opposizione, esponenti del governo, sindacati, anche quelli moderati. Perfino la Confindustria, pur appoggiando l’illustre associato, non vorrebbe scontri radicali. La scissione tra il settore auto e le attività affini (tra cui le non affini partecipazioni editoriali), che resta alla Fiat Spa, e il resto del gruppo, che va alla neonata Fiat Industrial, è passata in secondo piano rispetto all’annuncio del trasferimento di alcune produzioni da Mirafiori alla Serbia.
La mossa della Fiat sorprende solo chi non aveva mai letto con attenzione i suoi bilanci. Ma i distratti, in Italia, sono una folla: politici, industriali, banchieri, commentatori. Oggi esaltano il Marchionne che salva Detroit con i soldi della Casa Bianca e scoprono preoccupati che lo stesso Marchionne trova in qualche sporadico sciopero della Fiom la scusa per depotenziare Mirafiori, visto che il governo italiano è in bolletta. Il ministro Roberto Calderoli parla degli aiuti pubblici, ma è storia vecchia. Per condizionare le scelte della Fiat sulla base di una storica gratitudine, ci vuole una capacità politica che finora non si è vista.