La fine che faremo?
Il New York Times sulla vita del giornalista online
Il New York Times oggi racconta il frenetico rapporto col proprio lavoro dei giornalisti nei maggiori siti di news americani. Volevamo rassicurarvi sul fatto che non siamo ancora ridotti così.
È questa la situazione dell’industria dei media oggi: frenetica e affaticata. Giovani giornalisti che un tempo sognavano di andare in giro per il mondo a caccia di storie ora sono incatenati ai loro computer, dove cercano di trovare qualche idea fresca o di pubblicare per primi anche la più piccola delle notizie – qualsiasi cosa che possa impressionare l’algoritmo di Google e spingere i lettori nella loro direzione.
Tracciare il numero di persone che leggono gli articoli e quindi ricompensare – o incolpare – gli autori sulla base di quei risultati è diventato sempre più frequente all’interno delle redazioni. Tutti i giorni il Christian Science Monitor invia ai membri del suo staff una mail che elenca il numero di page views per ogni articolo uscito sul sito del giornale di quel giorno.
New York Times, Washington Post e Los Angeles Times mettono gli articoli “più letti” bene in vista nella loro home page. E alcuni gruppi media, tra cui Bloomberg e Gawker, hanno iniziato a pagare i giornalisti in parte anche sulla base di quanti lettori cliccano sui loro articoli.