Cosa fa il PD sulla manovra
Pietro Ichino sulla Stampa risponde a chi sostiene che il PD e l'opposizione non esistono
Negli ultimi tempi l’attenzione della stampa e di chi osserva le cose della politica italiana è stata catalizzata dal centrodestra: lo scontro tra Berlusconi e Fini, la manovra finanziaria, oggi il ruolo dei membri del governo – e dello stesso premier, forse – nella lobby di Flavio Carboni. La dimensione di queste vicende e delle loro ripercussioni finisce per penalizzare la visibilità mediatica del ruolo e delle azioni dell’opposizione, a volte a causa della sua stessa negligenza, a volte effettivamente a torto (è il caso di Brancher e Cosentino, per esempio, dimissionati anche grazie alle loro mozioni di sfiducia).
In ogni caso, anche con tutta la buona volontà di questo mondo, è difficile non giudicare tiepidamente – siamo buoni – il comportamento del Partito Democratico negli ultimi mesi. Qualche settimana fa, mentre il governo e la maggioranza già sbandavano, sul Post avevamo scritto che il PD emetteva solo “rumore di fondo”. E la cosa più coraggiosa detta dal suo segretario era “se la maggioranza non ce la fa bisogna pensare a qualche altra ipotesi”. Bersani ha fatto qualche passo avanti: oggi ha detto che se la maggioranza non ce la fa “ci vuole un film nuovo”. I suoi critici però non si sono fermati, e ultimamente arrivano alle stesse conclusioni anche persone provenienti da posizioni e impostazioni differenti. È il caso del giornalista dell’Espresso e blogger Alessandro Gilioli, e dell’editorialista del Corriere della Sera Piero Ostellino, che nei giorni scorsi hanno messo per esteso praticamente lo stesso concetto: il Partito Democratico non c’è. «Sul nulla c’è poco da dire», ha scritto Gilioli. Il PD è «il partito che non c’è», ha rilanciato oggi Ostellino.
La stessa critica era stata fatta qualche giorno fa sulla Stampa da Luca Ricolfi, che in relazione alla manovra finanziaria aveva parlato di «un’opposizione imbarazzante nella sua pochezza». Oggi gli risponde Pietro Ichino, giuslavorista e senatore del Partito Democratico.
Se riferita ad altre vicende e altre materie, non avrei avuto nulla da obiettare a questa notazione; ma poiché ho partecipato personalmente, come senatore, a questa prima fase della discussione della manovra in Parlamento, posso testimoniare che qui l’opposizione si è fatta sentire vigorosamente con i propri interventi e le proprie proposte di emendamento lungo tutte le cento ore di discussione molto tesa in commissione e in aula; fuori del Palazzo lo ha fatto con i modesti mezzi di comunicazione di cui i partiti di minoranza dispongono; e, in particolare, il Pd lo ha fatto, sia dentro sia fuori del Palazzo, su di una linea in larga parte coincidente con quella esposta dallo stesso Ricolfi nel suo editoriale.
Ichino non pensa che l’opposizione del PD sia stata inerte e afasica, ma assume come vera la critica di Ricolfi – che definisce «equilibrato e informatissimo» – e dice che se persino l’editorialista della Stampa non ha avuto notizia dell’attività del PD, le spiegazioni possibili possono essere soltanto due. La prima è che sia colpa dello strapotere mediatico del premier, che distorce la realtà. La seconda è che sia colpa di «un meccanismo mediatico», dice Ichino, ed è evidentemente per lui l’ipotesi più credibile.
Indipendentemente dallo strapotere televisivo del premier, il meccanismo mediatico faccia sì che venga data notizia soltanto di un’opposizione «dura e pura», «senza se e senza ma», che si manifesta con rifiuti totali e indistinti, magari rafforzati da qualche rissa in Parlamento; quando invece, come ha fatto il Pd sulla manovra di Tremonti, l’opposizione propone ragionamenti, distingue ciò che è condivisibile da ciò che va rifiutato nelle scelte della maggioranza, facendosi carico dei vincoli oggettivi che nel contesto attuale si impongono a qualsiasi governo, allora la cosa non fa notizia; quindi, fuori del Palazzo, finisce coll’essere invisibile. In altre e più semplici parole: se Enrico Morando – invece che guidare in questa battaglia i senatori del Pd con la stessa onestà intellettuale, lo stesso rifiuto della faziosità e lo stesso rigore concettuale con cui Ricolfi fa il suo mestiere di opinionista – avesse urlato insulti e inscenato un tentativo di aggressione al capogruppo di maggioranza in Commissione, o al ministro Tremonti in aula, tv e giornali avrebbero dato a questo fatto un rilievo infinitamente maggiore rispetto a quello (nullo) che è stato dato alle decine di suoi interventi pesantemente e incisivamente – ma non faziosamente – critici sulla manovra, svolti nei giorni scorsi.
Forse entrambe le spiegazioni colgono un aspetto importante della realtà. In ogni caso, Ricolfi tenga conto del fatto che, se nei giorni scorsi fosse stato lui al posto di Enrico Morando a condurre la battaglia in Senato dai banchi dell’opposizione, anche i suoi interventi sarebbero stati ignorati dai media. Quindi, anche la sua opposizione sarebbe apparsa afasica e inerte.
È un problema noto: vecchio e noto. Nessuna delle due colpe giustifica l’altra: da una parte è vero che l’azione politica del Partito Democratico su un numero enorme di questioni non si è mai distinta per incisività è chiarezza, dall’altra parte è vero che la stampa italiana preferisce dedicare spazio a questioni ombelicali e a volte ridicole – le più recenti: l’uso della parola “compagno”, il cambio di simbolo del PD, il nome da dare alle feste dell’Unità – piuttosto che alle nascoste iniziative positive intraprese dai parlamentari dell’opposizione. Luca Ricolfi, nella sua risposta, ammette l’argomento di Ichino fino a un certo punto: i giornali raccontano quello che vedono, dice, e fare vedere le cose giuste è compito vostro.
Caro Ichino, hai perfettamente ragione, le cose vanno proprio come dici tu, però c’è forse anche un altro aspetto da considerare. Il Partito democratico esprime spesso posizioni molto ragionevoli nelle commissioni, in Parlamento, più in generale nei luoghi in cui si discutono i dettagli delle leggi: penso alla riforma Brunetta-Ichino della pubblica amministrazione, alle proposte sulla manovra economica, al dialogo in corso sull’università. Poi però nei luoghi di lavoro, nelle piazze, nelle interviste a giornali e tv tutto il lato «costruttivo» del quotidiano lavoro di opposizione evapora, per cedere il posto ad analisi semplicistiche, slogan aggressivi, falsificazioni delle cifre, manipolazioni della realtà. È come se l’opposizione del Pd, incalzata da Di Pietro e dalla propria stessa base, si vergognasse di mostrare a tutti il suo volto dialogante e ragionevole. Detto in altri termini: i media hanno molte colpe, ma forse è anche il tuo partito che – nelle occasioni pubbliche – preferisce scaldare i cuori dei suoi simpatizzanti piuttosto che parlare alle loro menti. Secondo me è un errore, ed è una delle ragioni per cui l’immagine della sinistra che arriva nelle case non è quella della sinistra che fa il suo lavoro – spesso un ottimo lavoro – nelle aule del parlamento.