Come funziona il 3D al cinema
Da Avatar a Toy Story 3, il numero di film in tre dimensioni nelle sale continua a crescere. Tutto merito del nostro cervello, che si lascia ingannare
I Na’vi di Pandora volano sulle loro Banshee attraverso le montagne fluttuanti regalando prospettive mozzafiato agli spettatori in sala muniti degli occhialini per vedere il film in tre dimensioni. Avatar è stato visto da decine di milioni di persone, che grazie alla tecnologia 3D si sono potute immergere nel colorato mondo immaginario ideato dal regista James Cameron e dagli autori del film. Per vedere la storia dei Na’vi sul grande schermo in tre dimensioni o per godersi le avventure di Woody e Buzz Lightyear nel nuovo Toy Story 3, ogni spettatore ha dovuto spendere qualche euro in più rispetto a una proiezione tradizionale, un costo giustificato in parte dalla necessità di dover utilizzare gli occhialini e dalla necessità per i gestori delle sale cinematografiche di compensare gli investimenti per acquistare i nuovi proiettori per l’effetto 3D.
In realtà, un film in tre dimensioni è un prodotto incompleto rispetto a una pellicola tradizionale e dovrebbe dunque costare qualche euro in meno, ricordano provocatoriamente sul sito di informazione io9.com. Un film 3D offre immagini parziali e spetta poi al nostro cervello ricombinarle insieme per creare un’unica visione tridimensionale, comparabile con il mondo al di qua del grande schermo.
La tecnologia per dare un effetto tridimensionale alle immagini proiettate su uno schermo piatto sfrutta il funzionamento della nostra vista. Semplificando un poco, possiamo dire che i nostri due occhi percepiscono molto diversamente il mondo che ci circonda. Le immagini, differenti tra loro, percepite dagli occhi raggiungono il cervello che provvede a elaborare i segnali ricevuti, a trovare le differenze e a creare infine un’immagine tridimensionale. Per rendersi conto del lavoro che compie il nostro cervello è sufficiente chiudere un occhio e guardarsi intorno: la percezione della profondità cambia sensibilmente, anche se il nostro cervello abituato alla visione tridimensionale tende a compensare facendoci percepire la prospettiva.
Gli schermi cinematografici per la visione in 3D sfruttano questa caratteristica della vista per ingannare il cervello e indurlo a fare il lavoro che svolge tutti i giorni della nostra vita. Sullo schermo vengono proiettate contemporaneamente due immagini differenti, lasciando a ognuno di noi il compito di combinarle insieme per crearne una tridimensionale.
Fino a qualche tempo fa, l’effetto 3D veniva realizzato con una soluzione rudimentale basata su due differenti colori. Agli spettatori venivano affidati degli speciali occhialini con una lente blu (talvolta verde) e una lente rossa e le due immagini proiettate sullo schermo in contemporanea erano a loro volta una blu e una rossa. Questo sistema consentiva di ricreare immagini tridimensionali, ma la loro qualità era molto bassa e bisognava rinunciare al colore. Le sale cinematografiche di ultima generazione impiegano, invece, il principio della polarizzazione, come spiega io9.com:
La polarizzazione sfrutta le proprietà della luce. Immaginate una corda per saltare tenuta alle sue estremità da due persone distanti tra loro. Una delle due persone inizia ad agitare la corda da saltare. Il movimento viaggia fino a raggiungere la persona all’altra estremità della corda. La luce si sposta in questo modo e – proprio come la prima persona è in grado di muovere la corda per saltare in tutte le direzioni, creando onde verticali, orizzontali e diagonali – è in grado di viaggiare con onde orientate in tutte le direzioni.
La luce polarizzata si ottiene quando le onde vengono orientate in un’unica direzione. Per ottenere questo effetto si utilizza un filtro polarizzante, che consente il passaggio delle onde con un solo orientamento. In pratica, è come far muovere la corda da saltare attraverso due sbarre verticali: passano solamente i movimenti dall’alto verso il basso, mentre gli altri (orizzontali, obliqui) vengono arrestati. Le lenti polarizzate, quelle degli occhialini per vedere i film in tre dimensioni, sfruttano questo principio. Semplificando, ogni lente è composta da tante piccole strisce (orizzontali, verticali od oblique) che consentono il passaggio della luce secondo un preciso orientamento.
Una delle lenti degli occhiali consente solamente il passaggio della luce polarizzata in verticale, mentre l’altra solamente il passaggio della luce polarizzata orizzontalmente. Un fotogramma del film viene proiettato con la luce polarizzata verticalmente, e viene dunque recepito da un solo occhio, mentre un altro fotogramma viene mostrato con la luce polarizzata in orizzontale, e viene così percepito dall’altro occhio.
Le due immagini vengono poi elaborate dal cervello, che provvede a cogliere le differenze e a creare l’effetto della profondità sulle due dimensioni dello schermo. Le Banshee volano così verso le montagne sospese per aria di Pandora, mentre Woody e Buzz Lightyear possono affrontare la loro nuova avventura tra i bambini scalmanati dell’asilo nido. Il trucco c’è e in un certo senso si vede.