Nome in codice: Cesare
Berlusconi viene citato decine di volte nelle intercettazioni sulla lobby, ma nessuno lo chiama per nome
Nei verbali con le intercettazioni della lobby di Flavio Carboni si fa spesso riferimento a un tale Cesare. “Credo che sia già arrivato nelle stanze di Cesare”, dice Carboni al telefono a Martino. “Poi ammo a vede’ Cesare quanto prima”, dice Lombardi al sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, dopo avergli raccontato delle sue pressioni sui giudici della Corte Costituzionale. Martino chiede a Carboni di fissare “l’incontro con Cesare” e quando i giudici della Corte bocciano il lodo Alfano entrambi sgridano Lombardi: gli hanno fatto fare una figuraccia “con Cesare e i suoi tribuni”. Quando invece si discute delle manovre per candidare Cosentino alla presidenza della Campania, Carboni dice più volte: “Adesso chiamo io Cesare”. Lombardi gli risponde dicendo che devono essere d’accordo “Cesare e pure con il vice-Cesare”.
Nelle oltre ventimila pagine che compongono i verbali dei carabinieri, Cesare non viene mai identificato. Ma una nota informativa che accompagna i verbali svela il mistero, scrive Massimo Solani sull’Unità.
La risposta la danno i carabinieri in una nota ad una delle informative agli atti dell’inchiesta (nota n. 15 pag 12 segue informativa nr. 474/1- 50-3-44). Cesare, scrivono, «è pseudonimo utilizzato per riferirsi al Presidente del Consiglio».
La cosa divertente è che i tre s’inventano qualcosa ogni volta che parlano di Cesare: “Mio cugino Cesare” dice Arcangelo Martino il 30 settembre 2009. “Mio nipote Cesare” dice Pasquale Lombardi. La cosa inquietante è che i verbali mostrano come Berlusconi – che non è indagato – fosse a conoscenza dei movimenti della lobby e dei suoi tentativi di influenzare la Corte.
«Io la settimana prossima mi incontro con Cesare – svela a Lombardi Nicola Cosentino il 2 ottobre – lui è rimasto contento per quello che gli stiamo facendo per il 6 (la data inizialmente prevista per la pronuncia sul Lodo Alfano (ndr) e allora giustamente ci deve dare qualche cosa e ci deve dare te e non m’ha scassa’ o’ cazz’». Quando il verdetto si avvicina, i conteggi si moltiplicano. Il gruppetto di Carboni è ottimista visto il lavoro fatto, e il 25 settembre Arcangelo Martino è euforico con Carboni: «Diglielo a Cesare!».
Nei verbali si parla di una cena organizzata a casa di Verdini, proprio per parlare del lodo Alfano. “Bisogna vedere se c’è… se c’è Cesare”, si chiede Carboni. Qualche giorno dopo il gruppo fa il punto della situazione, a pranzo, e Lombardi aggiorna il sottosegretario Caliendo sulla conta dei giudici orientati a votare per l’incostituzionalità del lodo Alfano. “Abbiamo fissato che ogni giorno, ogni settimana bisogna che ci incontriamo per discutere tra di noi e vedere ando stà o’ buono e ando sta o’ malamente. E poi ammo vedè Cesare quanto prima”. Quando invece la lobby tenta di colpire Caldoro pubblicando su un sito internet alcune notizie false su un presunto scandalo con delle transessuali, Martino telefona a Lombardi per dirgli di aver saputo da Carboni che “domani informano il presidente… Cesare, che oggi non c’è”. Cesare va informato proprio della pubblicazione della notizia bufala messa in giro per screditare Caldoro. I tre non riescono mai a vederlo, Cesare, stando a quel che si apprende dai verbali. Ma Cesare probabilmente sapeva tutto delle loro attività, scrive sempre sull’Unità Concita De Gregorio.
“Cesare” – come lo chiamavano nel loro codice Flavio Carboni, Marcello Dell’Utri e soci – sapeva tutto. “Cesare”, cioè Silvio Berlusconi, il capo del governo di questo Paese, sapeva dei ricatti, delle minacce, dei falsi dossier confezionati per screditare candidati non graditi alla Cupola. La scelta del nome il codice è il dettaglio che fa luce sulla scena: Basso impero, scrivemmo molti mesi fa. Qualcosa di peggio. L’imperatore, diceva sua moglie. Nerone, e non più nella versione grottesca di Petrolini.