Via da Pechino
Pechino è troppo popolata, troppo inaridita, troppo inquinata e troppo vicina al deserto
Da anni in Cina è in corso un dibattito sull’opportunità di spostare la capitale da Pechino. Ciclicamente, i giornali danno notizia di qualche nuovo studio o più semplicemente di qualche nuovo argomento in difesa della proposta. Stavolta è il caso del “Rapporto sul trasferimento della capitale della Cina”, scritto dal funzionario di stato Qin Fazhang e dal professore di economia del Politecnico di Pechino Hu Xingdou: oggi ne parla Paolo Salom sul Corriere della Sera.
Il rapporto ha fatto riemergere la spaccatura tra chi pensa che il trasferimento dei palazzi del potere sia inevitabile e chi difende il rango dell’antica città, in cui ogni giorno si continua a lavorare alla costruzione di nuovi edifici. Il punto di chi è a favore dello spostamento è molto semplice: Pechino è troppo popolata, troppo inaridita, troppo inquinata e troppo vicina al deserto. È un gigante paralizzato, sempre più incapace di rispondere alle sfide di un paese in crescita vertiginosa come la Cina.
Venti milioni di abitanti se consideriamo il territorio della municipalità, Pechino soffre da tempo di diversi mali. «Il governo vi ha investito troppo denaro— scrivono — Il costo della vita ormai è improponibile. Per contro la metropoli vive in un perenne stato di bisogno per l’acqua, risorsa scarsissima». E poi, insistono, «il deserto incombe, le strade si fanno sempre più polverose». Per non parlare della «fragilità ecologica di una città inquinata, sovrappopolata e assediata dal traffico».
Il rimedio? Dopo aver ricordato che Pechino è sede del potere «soltanto» con tre dinastie (gli Yuan, ovvero i mongoli, 1271-1368; i Ming, 1368-1644; e i Qing, 1644-1911), e dal 1949, gli autori del saggio propongono di trasferire il governo più a sud, per esempio a Nanyang, città al confine con quattro province (Henan, Hunan, Sichuan e Shaanxi), e dunque in posizione vantaggiosa: «Nanyang è perfetta dal punto di vista geopolitico: è il vero baricentro della Cina e aiuterebbe a sviluppare economicamente una zona che merita considerazione per le risorse di cui dispone. Inoltre è una città medio-piccola, i costi sarebbero limitati».
L’inquinamento a Pechino è così intenso che a volte può capitare che anche in un solo mese vengano annullati più di duecento voli a causa della scarsa visibilità. I prezzi dell’acqua sono in continuo aumento per disincentivare i consumi. Le tempeste di sabbia si abbattono quasi ogni giorno su strade e palazzi. Secondo Xingdou lasciare la capitale a Pechino sarebbe un errore sconsiderato: “Pechino non è solo sede del governo, è anche il centro culturale, mediatico e di ricerca del paese. Tutte le migliori università sono qui. E tutti i quartier generali delle aziende più importanti, banche comprese. Se ci fosse una guerra sarebbe un bersaglio estremamente facile per i nemici”.
E poi ci sono i danni ambientali, enormi. Per soddisfare la richiesta di acqua della capitale vengono continuamente sfruttate le risorse idriche di molte delle province vicine, che di conseguenza sono sottoposte a un progressivo impoverimento.
Pechino era stata scelta come capitale nel 1949 dal regime comunista per motivi strategici. Per un paese alleato dell’Unione Sovietica una capitale a nord era sicuramente preferibile. Ma oggi le condizioni sono diverse, l’Unione Sovietica non c’è più e non c’è più neanche un confine da presidiare a nord per impedire l’avanzata dei mongoli come accadeva al tempo della dinastia Ming. E in molti ormai si chiedono come le autorità possano continuare a ignorare i rischi legati alla scelta di mantenere la capitale lì.