La spallata alla ‘ndrangheta
Che cosa gli arresti di oggi ci dicono della 'ndrangheta e della sua influenza nella politica lombarda
Un’operazione di polizia e carabinieri senza precedenti nel recente passato ha portato questa mattina a oltre trecento arresti, nell’ambito di un’inchiesta sulla ‘ndrangheta. L’operazione ha visto impegnati tremila uomini delle forze dell’ordine: la maggior parte degli arresti sono stati eseguiti in Calabria e in Lombardia. Inoltre sono stati posti sotto sequestro beni mobili e immobili per un valore di decine di milioni di euro. L’operazione ha colpito le più importanti famiglie della ‘ndrangheta delle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Crotone. Molte di queste, secondo gli inquirenti, sono state praticamente smantellate dall’operazione odierna: tra queste i Commisso di Siderno, i Pelle di San Luca, gli Acquino-Coluccio ed i Mazzaferro di Gioiosa Ionica, i Pesce-Bellocco e gli Oppedisano di Rosarno, gli Alvaro di Sinopoli, i Longo di Polistena, gli Iamonte di Melito Porto Salvo.
Come funziona la ‘ndrangheta
Questa operazione è molto importante non solo per le sue dimensioni ma anche perché svela la struttura della criminalità organizzata calabrese: la sua gerarchia, il suo funzionamento. Per anni infatti si è pensato che le organizzazioni criminali calabresi fossero diverse da quelle siciliane, caratterizzate da una catena di comando ben definita: dietro la difficoltà di ricostruire un tale schema per la ‘ndrangheta – organizzazione dai contorni ben più ignoti e misteriosi, rispetto alla mafia – si pensava ci fosse una struttura orizzontale e frammentata, poco gerarchica. L’operazione che ha condotto agli arresti di oggi mostra un quadro del tutto differente, spiega Repubblica.
La ‘ndrangheta sinora non era mai stata considerata come una struttura unitaria, cioè non sembrava “come” Cosa Nostra. E se allora, per stabilire le regole in Sicilia, ci volle il pentito Tommaso Buscetta, qua, oggi, per comprendere le regole calabresi è stato necessario un lavoro certosino. Ma, piano piano, sono emersi i tre mandamenti della ‘ndrangheta in Calabria, poi un organo di vertice, che “ne governa gli assetti, assumendo o ratificando le decisioni più importanti”. E poi esiste – ed è sorprendente – “La Lombardia”, cioè la federazione dei gruppi trapiantati al Nord, con una “Camera di controllo deputata al raccordo tra le strutture lombarde e calabresi”. Una “struttura unitaria”, accusano i pm.
Ci sono due video che hanno aiutato gli inquirenti a ricostruire la gerarchia e il funzionamento delle famiglie calabresi. Il primo video è stato registrato a Paderno Dugnano, in un centro paradossalmente intitolato ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Mostra una riunione dei vertici dei clan calabresi del nord Italia, durante la quale per alzata di mano viene scelto il “mastro generale”. Il secondo filmato è stato registrato in Aspromonte e mostra un’altra riunione simile.
“La Lombardia”
La fortissima presenza della ‘ndrangheta in Lombardia e nel nord dell’Italia è un altro elemento fondamentale dell’inchiesta, che conferma l’attivismo delle organizzazioni criminali nel tentativo di accaparrarsi – tra gli altri – gli appalti dell’Expo 2015 e dell’autostrada del Brennero. Fra i trecento arresti effettuati da polizia e carabinieri ci sono poi diversi personaggi della pubblica amministrazione lombarda, e decine di politici – “molti di questi leghisti”, scrive l’Unità – sarebbero sotto indagine per concorso in associazione mafiosa e corruzione. Quello che sappiamo per certo è che questa mattina è stato arrestato anche il direttore dell’ASL di Pavia, Carlo Antonio Chiriaco, l’assessore comunale di Pavia Pietro Trivi, l’ex assessore provinciale milanese Antonio Oliviero. Un altro arresto eccellente è quelli di Pino Neri, ritenuto il capo della ‘ndrangheta in Lombardia: secondo Repubblica Neri è accusato tra le altre cose di avere “convogliato voti elettorali su indicazione di Antonio Chiriaco, direttore della Asl di Pavia, […] a favore del deputato del Pdl Giancarlo Abelli, che risulta estraneo ai fatti e non è indagato”. Ma c’è molto altro.
Il ruolo dei politici lombardi
L’indagine – guidata dai procuratori Boccassini e Pignatone – fa luce anche sugli affari della ‘ndrangheta nella sanità lombarda. Abbiamo detto dell’arresto di Chiriaco, direttore dell’ASL di Pavia. Per capire il personaggio basta leggere i verbali con le intercettazioni delle sue telefonate, cominciando da questa in cui parla del suo coinvolgimento in un omicidio.
“Il primo processo l’ho avuto a 19 anni per tentato omicidio… comunque la legge è incredibile… quando tu fai una cosa puoi star certo che ti assolvono, se non la commetti rischi di essere condannato. Quella roba lì è vero che gli abbiamo sparato (bestemmia) È vero che gli abbiamo sparato non per ammazzarlo, però è anche vero che l’abbiamo mandato all’ospedale. Sono stato assolto per non aver commesso il fatto. Dopodiché io sono un angioletto… Io sono veramente un miracolato, sono stato in mezzo a tanti di quei casini”
In un’altra intecettazione Chiriaco cita l’ex consigliere regionale Giancarlo Abelli promuovendolo come assessore regionale alle infrastrutture: “nei prossimi cinque anni c’è l’Expo 2015… ma sai cosa c’è da fare nei prossimi cinque anni… proprio a livello di infrastrutture in Lombardia?”. Secondo la procura, i clan si sarebbero impegnati a sostegno di due candidati del PdL poi eletti in consiglio regionale: Angelo Gianmario e lo stesso Abelli.
Le talpe
Le cronache raccontano che l’inchiesta – cominciata nel 2008, dopo l’omicidio di Carmelo Novella in un bar della provincia di Milano – è stata resa ancora più complicata dalla presenza di alcune talpe dentro le stesse forze dell’ordine: sappiamo infatti che fra gli indagati ci sono anche quattro carabinieri di Rho (uno dei quali per concorso esterno in associazione mafiosa). E Repubblica racconta di come i boss fossero aggiornati su ogni passaggio dell’indagine, di come discutessero dei soldi da dare ai carabinieri in cambio di informazioni, di come un commercialista con un passato da amministratore giudiziario di beni confiscati alle mafie avvertisse i vertici della ‘ndrangheta della presenza di microspie e telecamere, “di ogni mossa degli investigatori calabresi e milanesi”.