Cosa succede alla Roma
Nel giro di poche settimane la Roma cambierà proprietario: malgrado i debiti, chi la comprerà farà un affare
Presto la Roma avrà un altro proprietario: la famiglia Sensi lascerà la presidenza e la proprietà della squadra che guida da quasi diciotto anni. La ragione della fine di quest’epoca è banalmente la situazione debitoria della società, oggi ridotta rispetto al passato ma ugualmente grave e soprattutto ormai non più aggirabile. Nel giro di pochi giorni, infatti, la Italpetroli (società della famiglia Sensi, controllante la AS Roma) e Unicredit (la banca creditrice) troveranno un accordo per una transizione della proprietà che possa guidare la società nell’attesa di trovare un nuovo acquirente.
I guai finanziari della Roma cominciano alla fine degli anni Novanta e i nodi vengono al pettine dopo la vittoria dello scudetto del 2001. La campagna di rafforzamento della squadra aveva comportato spese molto ingenti, gli acquisti di campioni del calibro di Batistuta, Emerson, Samuel, Montella e Cassano avevano appesantito le casse della società e portato in rosso i suoi bilanci. Sono gli anni in cui diverse squadre di calcio in Italia attraversano momenti di grande difficoltà, passata la sbornia degli anni Novanta: gli anni in cui il Parlamento italiano approva una legge – cosiddetta “salvacalcio” – per permettere alle società sportive di spalmare nel corso di dieci anni i debiti contratti nei confronti dell’erario. Rimangono però fuori i debiti nei confronti delle banche, che in molti casi finiscono per possedere grosse fette delle squadre di calcio: è il caso della Roma, della quale molte azioni finiscono in mano a Capitalia prima e a Unicredit poi.
La famiglia Sensi inizia allora a guidare la società con maggiore sobrietà e austerità: dalla stagione del 2003 si preferisce comprare giocatori solo giocatori poco costosi, se non addirittura senza squadra. Gli stessi stipendi dei giocatori vengono ridotti e spalmati su più anni. Si tratta però di interventi tampone, tanto alta è la situazione debitoria. Nel 2004 la Roma usufruisce del condono fiscale, pagando ottanta milioni di euro allo Stato, e si trova costretta a vendere alcuni dei suoi giocatori migliori per far fronte alle spese. Gli anni successivi il bilancio viene pian piano riassestato. La squadra viene guidata con la politica dell’autofinanziamento, comprando giocatori solo con i soldi ricavati dalle cessioni di altre giocatori. Ogni estate vede la partenza di uno dei calciatori più forti, così da avere soldi da investire in altri acquisti. I buoni risultati in campionato e in Champions League garantiscono nuovi introiti, tali da permettere alla Roma di creare di fatto una nuova società, stabile e in salute. Rimane però la montagna di debiti relativi alla passata gestione, cosa che porta le banche – nello specifico Unicredit – ad avere sempre più influenza e peso nelle scelte della società.
Nonostante tutto la famiglia Sensi riesce a mantenere la proprietà della squadra. Negli anni si succedono diverse voci di gruppi interessati all’acquisto, dagli italiani Toti e Angelini ai russi della Nafta Moskva fino all’americano George Soros. Le voci si intensificano dopo la morte di Franco Sensi e la successiva ascesa alla presidenza di sua figlia Rosella. Non si concretizzerà niente: chi dice per la volontà dei Sensi di rimanere al timone della società, chi per l’inconsistenza delle offerte presentate, chi per il desiderio di buona parte del calcio italiano di evitare che una squadra potesse essere acquistata da un ricco magnate e far saltare ogni equilibrio. Ma i tifosi romanisti hanno una endemica tendenza al complottismo, quindi prendete l’ultima tesi con le molle.
Per qualche anno la squadra sembra funzionare come un ingranaggio perfetto. Spese attentissime in estate e buoni risultati nel corso della stagione, diversi secondi posti in campionato, quattro finali in coppa Italia e due vittorie. Nella stagione 2008-2009 però l’ingranaggio si rompe: la squadra manca la qualificazione alla Champions League e questo porta a una riduzione degli introiti pubblicitari per la stagione successiva. Nonostante la cessione al Liverpool di una delle migliori promesse della squadra, Alberto Aquilani, la situazione finanziaria non migliora e, in mancanza di garanzie da parte della famiglia Sensi, Unicredit inizia le procedure giudiziali per recuperare il proprio credito. Il 18 luglio Unicredit e Italpetroli siglano un piano di riscadenzamento del debito, che ammonta a oltre 300 milioni di euro: in cambio Unicredit rinuncia a esercitare l’opzione che le darebbe la maggioranza del pacchetto azionario.
Già durante la scorsa estate sembrava che la situazione dovesse arrivare a una conclusione, ma Unicredit preferì far passare alcune scadenze e lasciare la Roma ai Sensi ancora per un po’. C’è che dice che questo sia avvenuto anche grazie al ruolo di mediatore di Gianni Letta: la questione della proprietà della Roma è anche una questione politica, non solo sportiva o finanziaria. Poi però i nodi vengono al pettine. Nel giugno del 2009 Unicredit recede dal piano di rientro concordato nel 2008 per l’inadempienza della Roma e a metà settembre fa partire il pignoramento di due immobili di Italpetroli. La società li definisce “illegittimi” e si arriva allo scontro, in arbitrato. Dopo due udienze interlocutorie si arriva a quella del 5 luglio: è l’ultima scadenza per trovare un accordo, poi arriverà la sentenza arbitrale. Di fatto non si discute più del se cedere la squadra, ma del come: di quali proprietà lasciare alla famiglia Sensi e di quali passare a Unicredit.
Nel giro di poche ore dovrebbe arrivare la comunicazione dell’accordo. In questo momento, la cosa più probabile è la nomina di un advisor – sarà la banca d’affari Rothschild – che guiderà la transizione delle proprietà della famiglia Sensi e la loro dismissione. Rosella Sensi potrebbe rimanere presidente, facendo così da traghettatrice. Riguardo i possibili acquirenti, i nomi sono sempre gli stessi. Quel che è certo è che comprare la Roma in questo momento è un affare, come ricorda oggi la Gazzetta dello Sport.
In sei anni la Roma prima si è ripulita imponendosi cessioni dolorose (Emerson e Samuel), poi si è rilanciata. Oggi ha un centinaio di dipendenti, il quarto monte ingaggi della serie A (poco più di 80 milioni, Totti unico top player, molto menodi Inter, Milan e Juve), incassa circa 75 milioni dalle tv (ma con i diritti collettivi saranno dieci in meno), ha appena rinnovato ottime sponsorizzazioni con Wind e Kappa (fino al 2017, per circa 50 milioni totali). […] Ma quanto costa la Roma? È il domandone. Il valore di Borsa del club aggiornato a ieri è 129 milioni. Quando hanno cominciato la trattativa, per la banca non valeva molto più di questa cifra, per la Sensi non meno di 300. Due anni fa George Soros offrì 283 milioni. Oggi ne bastano poco più di 200, probabilmente. Per questo chi comprerà la Roma farà un affare.