“Un dramma post-coloniale”
Cosa c'entra l'eliminazione della Francia dai mondiali col multiculturalismo e le politiche di integrazione
Nel 1936, pochi giorni dopo le straordinarie quattro medaglie d’oro dell’afroamericano Jesse Owens alle olimpiadi di Berlino, il direttore della principale rivista sportiva francese scrisse che i responsabili delle colonie francesi avrebbero dovuto impiegare parte del loro tempo nella ricerca di africani talentuosi capaci di “rappresentare dignitosamente la razza francese” nelle competizioni internazionali. I corridori francesi erano andati molto male alle Olimpiadi, e molti consideravano quel fallimento come un’umiliazione per la nazione intera.
Foreign Policy racconta questo episodio nell’arco di un ragionamento complessivo sullo stato del multiculturalismo in Francia, per sostenere che le reazioni dell’opinione pubblica alla recente eliminazione dai mondiali rappresenterebbero un indicatore efficace della strada ancora da fare per arrivare a una completa e compiuta integrazione culturale. La tesi è interessante, ma va presa con le molle: la reazione a quello che è successo dopo l’eliminazione dei mondiali può essere un episodio indicativo ma difficilmente può essere utilizzato come chiave di lettura univoca della questione, certamente più frastagliata e complicata.
Quasi un secolo dopo, la sensibilità sul razzismo si è molto evoluta, ma gli agenti e gli allenatori europei continuano a cercare in Africa talenti che li possano arricchire. E molti ci riescono, considerato che la squadra francese agli ultimi mondiali era in maggioranza di origine africana.
Il flop della nazionale a questi mondiali, però, mostrerebbe come non sempre le cose vanno per il meglio. Sappiamo che tutto è cominciato quando l’intera squadra ha rinunciato a un allenamento, in segno di protesta nei confronti dell’espulsione dal ritiro di Nicolas Anelka, reo di aver mandato a quel paese l’allenatore in modo plateale e colorito. L’azione è stata definita dai media come uno “sciopero”, un “ammutinamento”, ed è diventata rapidamente un caso politico, anzi: “un dramma post coloniale”, scrive Foreign Policy, raccontandolo come un nuovo episodio della lotta tra il talento sregolato (nero) e la disciplina dell’autorità (bianca). Il problema non è affatto nuovo, in Francia.
Jean-Marie Le Pen, il politico di estrema destra anti-immigrati e fondatore del partito razzista Fronte Nazionale, nel 1996 dichiarò che non poteva tifare la nazionale francese, considerato come fosse piena di “stranieri” – cioè neri. E ancora oggi si discute polemicamente dei giocatori che non cantano l’inno nazionale.
Secondo Foreign Policy il caso Anelka avrebbe sdoganato questo tipo di posizioni. Il ministro francese per lo sport ha definito i giocatori di maggiore esperienza come dei “gangsters” che schiavizzano i “ragazzi spaventati” della nazionale. La derisione nei confronti di una “squadra di neri” e il fallimento dello sport come veicolo di integrazione viaggia attraverso tutta la politica francese.
La reazione dei media francesi è stata ancora peggiore, a metà tra il paternalismo coloniale e la condanna rabbiosa. I giocatori sono stati definiti “gangster”, “feccia”, “hooligans”. Sarkozy ha definito la mancanza di disciplina come un problema dell’intera nazione e ha posticipato un meeting preparatorio del G20 per incontrare il calciatore Thierry Henry, dedicandogli un’ora.
E dire invece che nel 1998 la vittoria della Francia ai mondiali era stata celebrata come il successo del modello di integrazione francese. Zinedine Zidane aveva un doppio ruolo: il leader di una squadra fortissima e il cittadino-tipo della nuova Francia. L’attuale crisi secondo Foreign Policy ha messo tutto in discussione, mostrando spaccature e divisioni che sembravano superate. Ma ci ricordiamo degli scontri nelle periferie di Parigi negli scorsi anni: il problema è aperto da tempo.
Mentre la Francia cerca di fare i conti col suo passato e col suo futuro di nazione multietnica, la nazione che farebbe bene a trarre una lezione da questa storia è la Germania: anche lei quest’anno schiera una nazionale multiculturale e anche per lei si sta celebrando il successo del suo modello di integrazione. Stiano attenti, conclude Foreign Policy: vincere la Coppa del mondo non è mai un’impresa facile, ma è sicuramente un gioco da ragazzi in confronto alla ricerca di una soluzione ai problemi di integrazione dei paesi europei.