Il nuovo allarme infondato in difesa della libertà di internet

Annunciata dai media una legge severa contro l'istigazione alla violenza online, ma è dell'anno scorso

C’è un caso noto a chi si occupa delle cose di internet in Italia che mostra visibilmente cosa succede quando si mescola una serie di comportamenti superficiali e ignoranti e li si consegna alla rete. È la storia del famoso emendamento D’Alia, quello che all’inizio del 2009 fu presentato da un senatore dell’UDC per favorire la “Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet”. L’emendamento, frutto di una vistosa incompetenza sulla rete, fu immediatamente contestato da blog e siti internet, e annullato poche settimane dopo.

Ma quella campagna di protesta, come tutte le campagne, fu forte anche di altrettante simmetriche incompetenze, raccogliendo consensi di persone spaventate da censure e bavagli e manette a internet prima ancora di capire cosa dicevano le norme o cosa succedesse realmente. L’effetto collaterale fu che morì l’emendamento, ma non morì la campagna, che divenne eterna e inesauribile e tuttora ricompare a mesi alterni attraverso catene di Sant’Antonio e post indignati su nuovi blog: si chiede di fermare l’emendamento D’Alia senza sapere che è stato fermato da oltre un anno.

In un paese educato da media e demagogie all’allarmismo permanente e governato da una classe politica inadeguata, l’effetto amplificatore della rete su questi difetti non può che essere di questo genere.

Una cosa simile è successa di nuovo ieri, in uno stato sovreccitato di “Al lupo, al lupo”, e ha coinvolto agenzie e quotidiani qualificati ed esperti nello scatenare un nuovo allarme in difesa della libertà in rete completamente infondato. La ricostruzione dei fatti è stata compiuta attentamente da Guido Scorza, avvocato ed esperto di internet, dopo che alcuni altri blog avevano notato che qualcosa non tornava.

Il 4 luglio, Adnkronos, una delle più blasonate agenzie di stampa operanti nel nostro Paese pubblica una notizia il cui titolo gela la Rete: “Internet, proposta Pdl: 12 anni di carcere per chi istiga alla violenza sul web”.
Nel lancio di agenzia si riferisce che “54 senatori del Pdl con il ddl che vede come primo firmatario Raffaele Lauro” avrebbero intenzione di usare la mano pesante, con pene dai 3 ai 12 anni di carcere con chi, comunicando con più persone in qualsiasi forma, istiga a commettere i reati puniti dall’articolo 593 del Codice penale” e che “La proposta prevede un’aggravante: ‘Se il fatto è commesso avvalendosi dei mezzi di comunicazione telefonica o telematica – si legge nell’articolato del ddl – la pena è aumentata’”.

Come spiega Scorza, l’agenzia riporta anche una dichiarazione del senatore Lauro, e viene rapidamente ripresa dal sito della Stampa che le allega un preoccupato sondaggio online tra i propri lettori: “Fino a 12 anni di carcere per le cyberminacce. Siete d’accordo con la proposta di legge?”. Altri siti di giornali e blog rilanciano l’allarme.

Solo che la proposta di legge è del dicembre 2009 ed è ferma in commissione, fu già a suo tempo segnalata dai giornali, la dichiarazione di Lauro non esiste (è un passo della vecchia relazione di accompagnamento) e l’allarme è al momento infondato. Scorza ne approfitta per fare delle riflessioni sull’affidabilità dei professionisti dell’informazione che sistematicamente criticano l’attendibilità della rete. Non è la rete ad aver insegnato il cattivo giornalismo: veniva da lontano.

La realtà è che l’informazione, nel secolo della Rete e nell’Era dell’accesso è liquida e che competenze, esperienze, professionisti, dilettanti, notizie affidabili ed inaffidabili si compenetrano e scambiano di ruolo e posizione, trovandosi ora nel mondo dei media tradizionali ed ora nella blogosfera.