Stavolta forse ci siamo
Parole grosse tra Berlusconi e Fini. Stavolta andranno fino in fondo?
Moltissime volte in questi mesi osservatori e giornalisti hanno preconizzato l’imminente fine del sodalizio tra Berlusconi e Fini, la dissoluzione della maggioranza, la scissione nel PdL, il ricorso alle elezioni anticipate. Previsioni che avevano certamente qualche fondamento ma spesso si rivelavano delle azzardate fughe in avanti, quando non apertamente dei wishful thinking.
Dalla lettura dei giornali di oggi, anche prendendoli con tutte le molle del mondo, si ottiene però un quadro che difficilmente potrebbe essere più esplicito. Non è detto che ci si arrivi, ovviamente, ma la fine dell’alleanza tra Fini e Berlusconi non è mai stata così vicina.
Francesco Bei su Repubblica riassume le tappe della giornata di ieri, che già avevamo detto essere decisiva: il ritorno di Berlusconi dall’estero, gli esiti deludenti dei tentativi di mediazione con Napolitano sulle intercettazioni. E quindi in serata arriva l’intervista a reti unificate, Tg1, Tg5 e giornale radio, per dire a tutti di stare tranquilli, che “ghe pensi mi”: più che una rassicurazione, però, sembra una minaccia.
Al di là delle battute, che la situazione sia al limite della rottura appare chiaro da giorni. Non a caso, al termine di un lungo “consiglio di guerra” a palazzo Grazioli, alla presenza dei tre coordinatori, dei capigruppo, di Letta, Alfano e Brancher, Fabrizio Cicchitto lancia un ultimatum al presidente della Camera. «Al punto in cui siamo, in un lasso ragionevole di tempo, o si definiscono in modo serio i termini di una convivenza fondata su atteggiamenti positivi e costruttivi, oppure sarà più ragionevole definire una separazione consensuale». È la prima volta che, a quel livello, viene esplicitamente minacciata la rottura del Pdl.
La partita al centro dello scontro è quella sulle intercettazioni. I finiani hanno detto di non avere alcuna intenzione di votare la legge così com’è uscita dal Senato.
Neppure se questo volesse dire far saltare il governo: «A mali estremi – risponde il deputato finiano – estremi rimedi. Ma sono certo che il premier non arriverà a tanto».
Le perplessità di Napolitano sono note, ma la novità è quella arrivata per bocca del capogruppo della Lega alla Camera, Reguzzoni, che ha chiesto “modifiche” alla legge sulle intercettazioni: evidentemente una crisi di governo non va bene neanche a loro. E per questo probabilmente i finiani possono permettersi di giocare alto, senza particolari timori: Berlusconi ci penserà cento volte prima di decretare la fine anticipata della legislatura, che oltre alla legge sulle intercettazioni comprometterebbe un altro obiettivo legislativo che gli sta molto a cuore: il lodo Alfano costituzionale. Questo non vuol dire che non voglia giocare, però: questo è il suo piano, scrive Liana Milella su Repubblica.
Ecco allora il progetto che, in due mosse, il Cavaliere ha messo a punto a palazzo Grazioli. Prima chiudere i conti con Napolitano. Poi l´uppercut a Fini. Quella col capo dello Stato più che una trattativa sulle intercettazioni, sarà solo una «comunicazione». Affidata a Gianni Letta, da giocare in fretta, con un mandato da chiudere lunedì. Ordini chiari: «cambiamenti minimi» li chiama il premier «non accetteremo né tutte le richieste del Quirinale, né tantomeno quelle di Fini». […] Sistemato il Colle, tutte le energie di Berlusconi si concentrano contro Fini. Ritorna l´ossessione di volerlo sbalzare di sella dalla presidenza della Camera, perché «non è possibile che ci attacchi sfruttando la poltrona su cui lo abbiamo messo noi e il fatto di essere il co-fondatore di questo partito. Gli dobbiamo togliere l´uno e l´altro». Ma, come gli spiegano i suoi, un presidente si può solo dimettere, non lo si può obbligare ad andarsene. E allora Berlusconi vuole metterlo fuori dal Pdl. Lo sfida («Vediamo in quanti lo seguono se lo cacciamo via»). Ne minimizza il peso («Tanto possiamo farcela anche senza di loro, ricordatevi che Prodi ha governato solo con due senatori in più»).
Quindi tirare avanti, costringere i finiani a uscire allo scoperto e poi “Un secondo dopo che lo avranno fatto, li buttiamo fuori dal partito”. Potrebbe funzionare, eh. L’evocazione del governo Prodi come esempio di successo e stabilità non è però la mossa migliore per rassicurare elettori e alleati. In ogni caso nella maggioranza hanno ricominciato a fare i conti.
Alla Camera basterebbero 25 deputati per condizionare le mosse dell’esecutivo. E 13 senatori a Palazzo Madama. Cifre che, stando ai conteggi, Gianfranco Fini potrebbe facilmente mettere insieme se “messo alla porta” del partito di cui è stato co-fondatore.
Proprio per questa ragione, i giornali di oggi raccontano del corteggiamento in corso a Casini e l’UdC da parte di Berlusconi. Dalla padella alla brace?