Salvare la Terra o rifarla
I rimedi proposti dagli esperti di geoingegneria potranno risolvere il problema del cambiamento climatico?
Domare la natura e mettere le mani addosso al nostro pianeta per salvarlo dalla catastrofe ambientale. Concetto sovversivo e alternativo: invece di ridimensionare la nostra volontà di potenza rispetto alla fragilità del pianeta, esaltarla adattandolo a resisterci. La geoingegneria si occupa anche di questo e secondo alcuni ricercatori potrebbe modificare radicalmente il nostro approccio nei confronti del surriscaldamento globale, spiegano sul New York Times. L’idea è alla base di “Hack the Planet” il nuovo libro di Eli Kintisch, uno dei divulgatori che lavorano per la rivista scientifica Science. Il libro è nato in seguito a un incontro organizzato nel 2007 dalla American Academy of Arts and Sciences e dalla Harvard University che ha raccolto i maggiori esperti sulla geoingegneria, chiamati a esporre le loro idee per contrastare i possibili effetti del surriscaldamento globale nei prossimi decenni.
Secondo ricercatori e scienziati, racconta Kintisch nel libro, la geoingegneria potrebbe effettivamente alleviare parte dei problemi legati al cambiamento climatico, ma le soluzioni andrebbero sperimentate prima dell’effettiva emergenza per non farsi cogliere impreparati. Le ipotesi di azione non mancano e contemplano interventi su larga scala, dagli effetti collaterali difficilmente prevedibili.
Il primo prevede la rimozione dell’anidride carbonica dell’atmosfera attraverso l’utilizzo, per esempio, di sistemi per fertilizzare gli oceani per stimolare la crescita delle alghe e del plancton [l’insieme di microscopici organismi trasportati dalle acque marine]. In teoria, il plancton dovrebbe assorbire l’anidride carbonica e, quando muore, dovrebbe portarsela sul fondale degli oceani. […] Il secondo approccio riguarda la riflessione delle radiazioni solari nello spazio attraverso, per esempio, la diffusione di solfati nell’atmosfera che renderebbero la Terra più lucente.
Altri ancora, suggeriscono di “mischiare” le acque degli oceani per raffreddare l’intero Pianeta. La proposta è semplice, ma non così facile da realizzare: l’idea è quella di utilizzare delle enormi tubature verticali per mescolare le acque ricche di nutrienti vegetali dei fondali con quelle in superficie. Ciò consentirebbe di sfruttare la fotosintesi delle alghe per sottrarre anidride carbonica dall’atmosfera e ridurre gli effetti del surriscaldamento globale.
Le proposte basate sulla geoingegneria sono interessanti, ma potrebbero generare effetti collaterali devastanti per il delicato equilibro naturale del nostro pianeta. Far aumentare a dismisura le quantità di plancton negli oceani porterebbe le specie che si nutrono degli organismi che lo compongono a prosperare, rovinando così un intero ecosistema. Grandi quantità di solfati nell’atmosfera, invece, potrebbero incidere sul ciclo delle piogge in alcune aree geografiche della Terra, causando gravi periodi di siccità. A questi si aggiungerebbero altri effetti a catena difficilmente prevedibili con le simulazioni al computer e i modelli matematici.
I rimedi suggeriti dovrebbero essere, inoltre, applicati nel lungo periodo e non come soluzione una tantum. L’immissione di solfati nell’atmosfera, per esempio, non porrebbe certo fine all’accumulo di anidride carbonica e degli altri gas responsabili dell’effetto serra. Se il progetto venisse abbandonato dopo poco tempo, l’accumulo potrebbe intensificarsi causando un aumento repentino delle temperature.
I detrattori delle teorie della geoingegneria applicata al surriscaldamento globale temono che l’opinione pubblica inizi a vivere nell’illusione che alcuni interventi radicali, dagli esiti imprevedibili, possano davvero risolvere un problema che ormai ci trasciniamo da decenni. Le soluzioni offerte da chi vuole riplasmare la Terra potrebbero, inoltre, distogliere il dibattito dal problema di fondo, ovvero la necessità di ridurre le emissioni di anidride carbonica prodotte dalle attività umane.
Per James Rodger Fleming, autore del volume “Fixing the Sky: The Checkered History of Weather and Climate Control”, le proposte della geoingegneria non sono testate, non possono essere sperimentate a dovere e sono potenzialmente molto pericolose. Flaming sostiene che idee simili rientrano in una letteratura ormai ampia che sogna, a torto, di poter controllare la natura piegandola alle proprie esigenze e necessità. Queste teorie raccolgono un seguito crescente, specie tra le fila dei conservatori, alla ricerca di soluzioni per tamponare le conseguenze e non a regole e nuove norme per risolvere il problema del cambiamento climatico riducendo le emissioni.
Altri autori la pensano come Fleming e sottolineano l’impossibilità di sperimentare prima le proposte della geoingegneria e di metterle in pratica. A chi spetterebbe il compito di assumersi l’onere di dare il via libera a operazioni su scala globale che interesserebbero l’intera umanità? E, ancora, chi dovrebbe decidere i parametri ideali per regolare la temperatura del Pianeta? Infine, simili operazioni richiederebbero la spesa di un’enorme mole di denaro, che secondo i detrattori potrebbe essere utilizzata ora per mettere in campo nuove regole e nuove soluzioni tecnologiche per tenere a bada le emissioni nocive. Non va cambiato il pianeta, ma la mentalità di chi lo abita.