Panorama-Telecom, pubblicità e ritorsioni
Telecom Italia ha deciso di ritirare la pubblicità da Panorama a causa di un articolo poco lusinghiero, non è un caso isolato
In seguito a un articolo poco favorevole nei confronti del suo amministratore delegato, Telecom Italia ha deciso di annullare alcuni contratti pubblicitari con la testata Panorama. La notizia è stata data dal direttore del settimanale, Giorgio Mulè:
Da luglio non vedrete più la pubblicità della Telecom sulle nostre pagine. Si tratta di un’azienda importante, che gareggia con altre importanti compagnie nel campo delle telecomunicazioni. Logica vorrebbe che, per il bene dell’azienda e il presidio del business, non abbandonasse gli investimenti sul primo newsmagazine italiano. E invece lo fa.
Il motivo della marcia indietro è legato a un articolo pubblicato lo scorso numero in cui si faceva il punto sul futuro dell’amministratore delegato della Telecom, Franco Bernabè, il cui mandato scade nel 2011. Un articolo documentato, ben informato, dai toni pacati e mai offensivi come è nello stile di Panorama. A riprova della bontà delle notizie c’è il fatto che non è arrivata alcuna smentita. Ad arrivare venerdì 18 giugno, invece, è stata una telefonata all’amministratore delegato di Mondadori pubblicità da parte del responsabile delle relazioni esterne di Telecom. Pochi preamboli per comunicare che, a causa delle «punzecchiature» di Panorama, tutta la pianificazione degli spazi pubblicitari su Panorama da luglio in avanti era da cancellare.
In un breve articolo di stamattina, il Giornale (quotidiano di proprietà di Paolo Berlusconi, il cui è fratello è proprietario di Mondadori e Panorama) riconosce a Telecom Italia il diritto di scegliere su quali giornali fare o meno pubblicità, ma non nasconde il fastidio per la scelta della società che arriva in un momento particolare per il gruppo editoriale di Panorama e accusa l’indignazione pubblica di usare due pesi e due misure:
Resta un po’ di amaro in bocca. Il tema della libertà di stampa è un mantra del politicamente corretto. Quando il premier Berlusconi si fa sfuggire, e sbaglia, battute sul taglio della pubblicità nei confronti dei giornali critici, succede un finimondo. Poi quando una grande azienda ritira la pubblicità da un giornale controllato dalla Fininvest, nessuno si scalda. Se il settimanale Chi cancella la rubrica di Giulia Bongiorno, scelta anche questa netta ma perfettamente legittima, si grida subito al bavaglio. Che si vorrebbe mettere alla parlamentare finiana e alla soubrette Hunziker. Due signore che hanno certamente qualche strumento per farsi sentire comunque dall’opinione pubblica. C’è poco da fare: Mulè e Panorama debbono proprio essere figli di un dio minore.
Intanto, Mulé racconta al Post di avere ricevuto una telefonata da Bernabè e che sono in corso trattative sulla risoluzione della questione. Telecom non ha al momento una sua versione ufficiale e non vuole commentare l’accaduto. Più in generale, la discussione è dove la libertà di scelta dell’inserzionista diventi ricatto per l’indipendenza del giornale: se Telecom tornasse sulla sua decisione, Panorama riscriverebbe serenamente lo stesso articolo? Scrive ancora il direttore di Panorama nel suo commento:
Prendo atto, dunque, che l’amministratore delegato dell’azienda – proprietaria, fra l’altro, della rete televisiva La7, che della libertà e della pluralità della stampa fa a parole una bandiera – non gradisce che si parli di lui se non in toni celebrativi o di consenso. Non solo. Prendo atto che l’interesse di Telecom di fare conoscere attraverso la pubblicità i suoi prodotti viene sacrificato sull’altare dell’interesse personale di Bernabè, che avrebbe trovato – come ben sa – porte aperte a Panorama se avesse voluto replicare all’articolo nelle forme più gradite (da una lettera a un’intervista). Prendo atto che quella di Telecom ha il sapore di un’azione punitiva e vagamente intimidatoria nei confronti della Mondadori e di Panorama
È facile intravedere anche una strumentalizzazione politica della vicenda da parte della stampa vicina alla maggioranza, ma quello di Panorama e Telecom Italia non è comunque un caso isolato: le società che ritengono di non essere trattate con i dovuti riguardi sui giornali rinunciano spesso alla pubblicità sugli stessi. Celebre il caso del 2007 della cotoletta servita nel ristorante degli stilisti Dolce e Gabbana. La giornalista del Sole 24 Ore, Camilla Baresani, aveva stroncato la pietanza mandando su tutte le furie i proprietari del locale che avevano deciso di ritirare le loro pubblicità dal quotidiano. La giornalista provò a scrivere un pezzo riparatore sul ristorante, ma l’allora direttore De Bortoli tagliò corto sulla polemica, aggiungendo qualche commento poco lusinghiero anche nei confronti degli abiti realizzati da Dolce e Gabbana.
(Camilla Baresani ci ha successivamente invitato a correggere questa ricostruzione inesatta: “Nella realtà dei fatti, dopo la mia recensione negativa del ristorante di D&G, il critico del Sole 24 ore (e consulente di food&beverage) Davide Paolini scrisse una recensione riparatoria che permise al giornale di sventare la minaccia fatta dai due stilisti. Io non mi sono mai sognata di “provare a scrivere un pezzo riparatore sul ristorante”, e anzi sono entrata conflitto con chi l’ha scritta, Paolini, un conflitto cruento che al cambio di direttore ha portato a togliermi la rubrica)
Il fenomeno non interessa, naturalmente, i soli giornali italiani. Negli Stati Uniti capita di frequente che gli inserzionisti ritirino gli annunci pubblicitari in seguito a recensioni e articoli ostili o non graditi. All’inizio della propria carriera, Walt Mossberg, ora una delle firme più note e rispettate del Wall Street Journal, ottenne in anticipo la notizia del lancio di una nuova garanzia per i paraurti della auto dell’American Motors Corporation. La società minacciò di ritirare gli annunci pubblicitari dal giornale se la notizia fosse trapelata prima dell’annuncio ufficiale e così fece quando il Wall Street Journal decise di sparare lo scoop.
Le realtà editoriali di grandi dimensioni e con buoni inserzionisti si possono spesso permettere di pubblicare articoli senza particolari timori per i loro conti legati alle inserzioni pubblicitarie, ma il meccanismo può innescare una certa sudditanza specie nelle testate di dimensioni minori. Perdere un’inserzionista può costare caro per i bilanci, così le semplice cautele a volte si trasformano in autocensure.