Filippo Penati e la guerra di Serravalle
Perché la Corte dei Conti ha censurato il comportamento di Penati da presidente della provincia di Milano
di Francesco Costa
Qualche giorno fa la Corte dei Conti ha censurato il comportamento della giunta provinciale di Milano durante la presidenza di Filippo Penati, in relazione alla cosiddetta “operazione Serravalle”: la provincia di Milano aveva acquistato nel 2005 il 15 per cento della società che possiede l’autostrada A7 Milano-Serravalle dall’imprenditore Marcellino Gavio, per 238 milioni di euro. La Corte dei Conti è stata chiamata a esprimersi da un ricorso presentato da Gabriele Albertini quando era sindaco di Milano e gli ha dato ragione praticamente su tutta la linea, definendo l’operazione “onerosa e priva di qualsiasi utilità”. Onerosa perché le azioni sarebbero state pagate una cifra superiore al prezzo di mercato, provocando un danno erariale di oltre 76 milioni di euro. Inutile perché le quote societarie già nelle mani di provincia e comune rappresentavano comunque la maggioranza, e quindi “gli enti locali detenevano il controllo della società pubblica”.
La storia è lunga e molto intricata, e comincia alla fine degli anni Novanta. Sono gli anni delle privatizzazioni: sia lo Stato che gli enti locali stanno cedendo ai privati la gestione di servizi anche molto importanti per la collettività, nel tentativo di fare cassa e nella speranza che l’apertura ai privati e al mercato possa migliorare la qualità di quei servizi senza incidere sui loro prezzi. Sono gli anni dell’opa di Colaninno su Telecom e di quella di Benetton su Autostrade.
Iniziative simili procedono nelle province e i comuni, e nel Nord Italia uno dei personaggi al centro delle privatizzazioni è l’imprenditore Marcello Gavio, vicino alla DC, uscito più o meno indenne da Tangentopoli grazie alla prescrizione, protagonista di diverse vicende quantomeno torbide nel suo rapporto con i partiti politici e gli appalti.
L’autostrada Milano-Serravalle è uno dei pezzi pubblici pregiati su cui i privati mettono gli occhi, e Gavio comincia a rastrellare azioni. Nel 1999, quando Ombretta Colli si insedia alla presidenza della provincia di Milano, la società che possiede l’autostrada è così composta: la provincia ha il 30,5 per cento, il comune di Milano ha il 18,6 per cento, la provincia di Genova ha il 10,7 per cento; seguono tutta una serie di azionisti minori, comuni, camere di commercio. Tra questi il gruppo Gavio, che possiede il 6 per cento delle azioni e sta proseguendo a rastrellarne altre. L’arrivo di Ombretta Colli apre una nuova fase: la nuova presidente annuncia di voler cambiare i vertici, apre alla possibilità di entrare in borsa e fa capire di essere molto interessata agli sviluppi della società. La Serravalle da lì a pochi anni avrebbe assegnato appalti per 250 milioni di euro.
Passano alcuni anni relativamente tranquilli e arriviamo al 2003. Siamo a gennaio. Il comune di Milano è senza soldi, nel vero senso della parola, è la giunta impone al sindaco Albertini di vendere i suoi “gioielli”. Uno di questi è quel 18 per cento di azioni della Serravalle, e Gavio – che nel frattempo è riuscito ad arrivare oltre il 20 per cento delle azioni – è molto interessato: forse presenta un’offerta, comunque non se ne fa nulla. Pochi giorni e cambia tutto: la provincia di Milano – cioè Ombretta Colli – e il gruppo Gavio convocano frettolosamente due assemblee, una ordinaria e una straordinaria, allo scopo di far spazio ai privati nella società. I giornali parlano di “blitz della Colli” e “attacco alla Serravalle” e si tratta effettivamente di un’operazione spregiudicata: un soggetto pubblico e uno privato che si alleano contro il comune. Commenta così un corsivo di Repubblica, il 9 gennaio 2003:
Si tratta di un ribaltone dalle conseguenze pesanti sia per l’importanza della Serravalle e della posta in gioco – progetti e commesse per miliardi di euro – sia per i riflessi politico amministrativi che innesca. Il primo dato è che una delle principali società di engineering e di gestione del business autostradale del paese smette di essere sotto controllo pubblico in modo del tutto improprio. La perdita del controllo, infatti, non avviene per effetto di una vendita da parte degli azionisti pubblici, ma in forza di un inedito accordo pubblico-privato ai «danni» di un altro azionista pubblico, il Comune di Milano. L’alleanza Colli-Gavio, infatti, guasta completamente i piani di Palazzo Marino, che dall’estate scorsa va annunciando l’intenzione di mettere sul mercato la sua partecipazione del 18 per cento, puntando ad incassare un centinaio di milioni di euro. Ora quella quota, ormai inutile per determinare il controllo di maggioranza della società, vale enormemente meno e il Comune, con grande imbarazzo, è costretto a un precipitoso dietrofront. […] Intanto Gavio, per conto suo, annuncia invece di essere pronto a rilevare il 18 per cento di proprietà del Comune, diventando il primo azionista della Serravalle. Naturalmente alle proprie condizioni di prezzo. La vicenda è un caso da manuale di dissipazione dell’interesse pubblico e di gestione malaccorta del patrimonio.
Albertini s’incavola, comprensibilmente, mentre il patto Colli-Gavio si muove: lo statuto della società che gestisce Serravalle viene modificato così da permettere ai privati di ottenere la maggioranza assoluta delle azioni. Gavio continua a rastrellare azioni: a febbraio arriva al 27 per cento e sembra intenzionato a comprarne il più possibile. Dovesse arrivare al 33 per cento, raggiungerebbe la cosiddetta “quota di blocco”: a quel punto ogni cambiamento dello statuto o decisione importante dovrebbe avere il suo consenso.
Un anno dopo Filippo Penati viene eletto alla provincia di Milano e una delle prime cose che fa è comprare dall’autorità portuale di Genova l’uno per cento delle azioni della società, per dieci milioni di euro. Penati in campagna elettorale ha detto di voler fermare l’ascesa di Gavio per garantire il controllo pubblico sulla Serravalle. Controllo pubblico che non è così lontano, visto che provincia e comune possiedono già oltre metà delle azioni: così a dicembre del 2004 Albertini e Penati siglano un “patto di sindacato” per fermare la scalata di Gavio.
L’accordo però dura poco. Albertini lamenta l’estromissione del Comune da tutte le decisioni importanti e accusa Penati di non rispettare i patti: gli pone un ultimatum, dicendogli che in mancanza di aperture concrete metterà all’asta le sue azioni, col rischio quindi di riconsegnare Serravalle ai privati. Intanto Gavio non ha mollato: continua a rastrellare azioni e punta a raggiungere il 30 per cento prima che la società venga quotata in borsa.
In estate la giunta Penati rompe gli indugi, facendo la mossa controversa e discussa al centro delle polemiche e del parere della Corte dei Conti: rileva un bel pezzo della quota azionaria di Marcellino Gavio, comprando il 15 per cento delle azioni Serravalle per 235 milioni di euro e garantendosi così da sola la maggioranza assoluta e il controllo della società. Gavio accetta l’affare, e vende. Repubblica commenta così, il 30 luglio 2005:
È una buona notizia? Considerato ciò che è accaduto negli ultimi tre anni – patti segreti, conflitti d’interesse, appalti sospetti, inchieste della magistratura – sì, il dimezzamento della quota del socio privato, che incarna l’ambiguità del doppio ruolo di azionista e fornitore dell’azienda, non può che essere una buona notizia. Eppure, c’è qualcosa che non torna, nell’affare annunciato a sorpresa ieri sera, e che induce a tenere alta la guardia. […] il prezzo. Alto, più alto di ogni precedente valutazione. Filippo Penati paga oltre 8 euro quelle stesse azioni che, poco più di un anno fa, Gavio rastrellava a meno della metà. Ora, è vero che la quota che passa alla Provincia ingloba il premio del controllo. Ma, se la società vale tanto, perché una serie di enti pubblici – Comuni, Province, Camere di commercio, che gestiscono denaro dei cittadini – hanno svenduto quelle azioni a 3 euro?
L’articolo pone quindi il primo dei problemi al centro delle polemiche di questi anni: il prezzo delle azioni. L’advisor dell’acquisto, Banca Intesa, aveva consigliato un prezzo di sei euro per azione, la Provincia le ha pagate oltre otto euro: da qui la censura della Corte dei Conti. Penati sostiene che si arriva a otto euro sommando ai sei euro consigliati dall’advisor il 30 per cento di “premio di maggioranza” che la provincia era tenuta a pagare, visto che l’acquisto di quelle azioni le dava la maggioranza assoluta della società. Depongono a suo favore i pareri di alcuni esperti – alcuni di questi poi molto discussi – e alcuni precedenti: la merchant bank Abm in quel periodo compra l’uno per cento di Serravalle dalla provincia di Como e paga sei euro per ogni azione; Gavio compra una piccola quota di azioni dalla provincia di Pavia e paga sette euro ad azione; lo stesso Albertini dice che il valore delle azioni è aumentato di otto volte negli ultimi anni. Quando Gavio nel marzo del 2006 fa un’offerta per riprendere il 18 per cento di azioni del comune, offre 260 milioni. Penati ha pagato 235 milioni per il 15 per cento, premio di maggioranza compreso.
La seconda questione su cui si è molto discusso riguarda la necessità di fare quell’acquisto: acquisire la maggioranza dell’autostrada Serravalle era davvero così urgente e necessario, considerato che era già in piedi un patto di sindacato con il Comune? E soprattutto: considerata l’intenzione del Comune di vendere e quella della Provincia di comprare, Penati non poteva semplicemente rilevare le azioni di Albertini, così che i soldi restassero comunque ai contribuenti milanesi? Qui ognuno ha la sua versione. Penati dice che Albertini voleva vendere ai privati e non a lui – “il controllo pubblico di fatto non c’era più” – e cita le interviste di cui sopra in cui Albertini minacciò di mettere all’asta le azioni del comune di Milano. Di più: Penati dice di aver presentato al Comune un’offerta “quantificata” di acquisto delle azioni Serravalle, in una lettera che Albertini dice addirittura di non avere mai ricevuto (il vice sindaco De Corato dirà invece di averla considerata “irricevibile”: evidentemente l’offerta non era molto alta). Albertini sostiene invece che il comportamento di Penati – nonché la stessa acquisizione delle azioni di Gavio – violassero gli accordi del patto di sindacato.
Quel che è certo è che il comune di Milano subisce un bel danno: le sue azioni non sono più determinanti per ottenere la maggioranza della società e si deprezzano. Il clima tra provincia e comune è molto teso: “la guerra di Serravalle”, titolano i giornali. Il patto di sindacato si rompe, Albertini fa un primo ricorso alla Corte dei Conti. Il ricorso sarà bocciato dal TAR e ne seguirà un altro, per danno erariale, che è quello a seguito del quale è arrivata la censura degli ultimi giorni.
Ora il centrodestra si muove contro Penati: la Provincia e il Comune sono pronti ad approfittare del parere della Corte dei Conti per far muovere la magistratura. Penati dice che senza quell’operazione opere cruciali come la Pedemontana sarebbero ancora bloccate; i suoi oppositori – da destra e da sinistra – sostengono che si sia trattato di un enorme spreco di denaro pubblico a danno dei contribuenti, specie considerate le pessime condizioni finanziarie in cui oggi versa ASAM, la società controllata dalla provincia che concluse materialmente l’acquisto delle azioni. Penati aveva inoltre promesso di investire il ricavato dell’operazione in iniziative “sociali e culturali”, ma anche di questo si è visto molto poco. Giovanni Pons su Repubblica ha scritto invece un commento ben più indulgente, lasciando intendere che quello della Corte dei Conti sia in qualche modo un atto dovuto, una decisione presa senza tenere in considerazione la diversità di progetti e intenzioni di Provincia e Comune, giudicati entrambi “enti pubblici”.
Da questi passaggi si capisce che il prezzo pagato da Penati è di poco superiore a quello richiesto dal Comune per una quota simile ed è lo stesso offerto finalmente da Gavio ad Albertini nel marzo 2006: 270 milioni per il 18%. […] Si può poi disquisire se la politica di Penati volta a mantenere la Serravalle sotto il controllo pubblico sia condivisibile o meno. Fino alla recente crisi finanziaria l’idea del privato che entra in una società e fa efficienza con una gestione più accorta è stata prevalente. Ma oggi ci si chiede se è stato giusto aver consegnato le Autostrade ai Benetton che si sono ripagati il costo dell’acquisizione con i dividendi provenienti dalla stessa società. Oppure cosa sarebbe la Telecom oggi se non ci fosse stata l’Opa di Colaninno che ha inserito nelle società a monte 40 mila miliardi di lire di debiti. Se la Serravalle fosse finita sotto il cappello del gruppo Gavio forse i suoi utili avrebbero rimborsato il debito fatto su altre operazioni. La Provincia finanziò i 235 milioni con debito bancario e poi l’ha trasformato in mutui scadenza 2029 i cui interessi si pagano con i dividendi senza azioni in pegno alle banche. E nel frattempo la Serravalle ha potuto sbloccare la Pedemontana e fare investimenti importanti tra cui la terza corsia Milano-Genova il cui appalto è finito guarda caso alle società di Gavio.