Alla fine è colpa loro?
Il centrodestra molla Brancher e lui rinuncia al legittimo impedimento
Ieri sera il ministro Aldo Brancher ha comunicato – attraverso i suoi avvocati – la sua intenzione di rinunciare ad avvalersi del legittimo impedimento, ed essere quindi disposto a presentarsi in aula nell’ambito del processo che lo vede imputato per ricettazione e appropriazione indebita. La decisione è arrivata al termine di una giornata nel corso della quale i suoi stessi alleati lo avevano messo nell’angolo: o la rinuncia al legittimo impedimento, o le dimissioni. E questo perché fin dall’inizio, in questo gran casino, non è stata chiara la paternità politica della nomina di Brancher – oltre che le deleghe che il suo ministero avrebbe ricevuto.
La nomina di Brancher era stata presentata come un’operazione per rinsaldare il legame tra Berlusconi e la Lega, per “cementare l’alleanza strategica con Umberto Bossi”, si diceva. Poi però Bossi ha ribadito a muso duro che il ministro del federalismo resta lui. Berlusconi se n’è presto lavato le mani. I finiani hanno addirittura minacciato di votare una mozione di sfiducia. Se per l’opposizione la nomina di Brancher era uno scandalo, per la maggioranza era un mistero. Chi lo ha voluto fare ministro?
Un primo indizio ci era stato dato già in quei giorni, quando sul Foglio si leggeva che secondo gli uomini più vicini a Bossi la nomina di Brancher era “una fuga in avanti di Calderoli”. Calderoli aveva poi detto che “il caso Brancher non ci riguarda”, provando anche lui a fare l’indifferente, ma oggi il Corriere della Sera gli ricorda che c’è poco da fischiettare.
Proprio Calderoli è stato coindagato di Brancher nella medesima vicenda ora imputata al neoministro delegato a non si sa bene ancora quali sussidiarietà federaliste: e l’archiviazione di Calderoli, firmata dal gip Varanelli pochi mesi fa, dipende molto (anche ai fini di una possibile riapertura dell’indagine) dai silenzi o dalle parole che Brancher assumerà nel dibattimento sulle affermazioni del n° 1 dell’ex Banca Popolare di Lodi, Gianpiero Fiorani, che il gip Varanelli ritenne credibili in sé ma prive di un riscontro esterno. Brancher (imputato) e Calderoli (ora possibile teste nel suo processo) […] sono al centro di uno dei filoni collaterali, quello degli “aiuti” con i quali Fiorani cementò nel 2004/2005 la lobby pro-Fazio di parlamentari di vari partiti, compresa appunto la Lega: una lobby schierata, nell’esame parlamentare del ddl sul risparmio, a difesa delle prerogative e del mandato a vita del Governatore di Banca d’Italia Antonio Fazio, materie sulle quali la Lega nel febbraio 2005 cambiò la propria opinione inizialmente contraria. […] Stando a Fiorani, nell’autunno 2004 «l’appoggio incondizionato della Lega alle posizioni di Fazio» sarebbe stato barattato con il salvataggio dalla bancarotta, e quindi dai rischi penali per gli amministratori della Lega, dell’allora banca leghista Credieuronord (8 milioni di perdite e 24 di sofferenze su 40 di impieghi), provvidenzialmente rilevata dalla banca PopLodi di Fiorani. Infine ci sono, secondo Fiorani, i «200mila euro» al tandem Brancher-Calderoli il giorno di un comizio a Lodi: «Confermo che Calderoli fu destinatario di un pagamento, da lui ricevuto attraverso Brancher, chiaramente finalizzato a ottenere l’appoggio della Lega alle posizioni di Bankitalia in sede parlamentare. Ho consegnato la busta a Brancher, mi disse che la doveva dividere con Calderoli. Il ministro non mi ha mai ringraziato». «Non ho assistito alla divisione della somma tra di loro— ammette Fiorani —, ma ho potuto notare che Calderoli era visibilmente entusiasta».
La novità si oggi però non riguarda direttamente Calderoli, bensì quello che secondo molti potrebbe essere stato il complice della sua “fuga in avanti”, un altro personaggio più volte in odore di rivalità e desiderio di scalzare il premier: Giulio Tremonti. Così Francesco Bei su Repubblica ricostruisce gli umori degli uomini vicini a Berlusconi.
Lo sfogo di un ministro del Pdl riassume l´umore da fine impero che si respira in queste ore: «Berlusconi e Bossi sono stati ingannati sul caso Brancher. Da chi? Si sono mossi Calderoli e Brancher, sotto la regia del loro Lord Protettore». L´identità di questo «Lord Protettore» non è un mistero, visti gli stretti rapporti di Calderoli e Brancher con Giulio Tremonti. In questo clima di sospetti anche il premier, per la prima volta, viene messo sotto accusa: si sarebbe lasciato “abbindolare” dalla cosiddetta “triade” (appunto Tremonti-Calderoli-Brancher). Gli rimproverano di non aver informato nessuno di cosa si stava preparando, lasciandosi andare a una gestione «frettolosa e disastrosa» delle deleghe del neo-ministro. Sullo sfondo si anima la guerra delle correnti, con gli ex forzisti che si oppongono alla richiesta di aprire davvero il tesseramento per il timore di essere cannibalizzati dagli ex An. Una guerra di tutti contro tutti, da cui il premier vorrebbe tenersi il più lontano possibile.